lunedì 25 novembre 2013

Moonrise Kingdom, una fiaba surreale


66 - Moonrise Kingdom (novembre 2013)



Al campo dei Khaki Scout notano l'assenza di Sam Shakusky. Il Caposcout Ward si affretta a controllare: un grosso buco sulla tenda coperto da un poster (delizioso rimando a Le ali della libertà) rivela la fuga del ragazzino dodicenne. Nel frattempo, poco lontano Suzy Bishop ha segnalato la sua (temporanea) fuga al fratellino per mezzo di alcune laconiche lettere.

L'innocente evasione dei due parte da un antefatto che Anderson infila nell'ordine di una narrazione classica e lineare nel suo prendere a riferimento il genere favolistico e d'avventura, perché quest'ennesima chicca del regista Texano è da considerarsi a tutti gli effetti una fiaba, pur se contaminata dal senso di urgenza e dal ben noto surrealismo del suo regista.

Se a riprova di ciò non bastasse la ricerca del lieto fine, ecco che allora ritroviamo la fuga attraverso i boschi da genitori cattivi (Grimm docet) o semplicemente ignoti, il senso centrale dell'avventura come esplorazione e crescita interiore, la figura del narratore in terza persona, ma anche un'ambientazione dai risvolti immaginifici superbamente incorniciata dalla fotografia ipersatura di Yeoman. Nella scelta dell'estetica, al solito di grande effetto, Anderson si fa guidare dai suoi consueti canoni visivi tendenti al look vintage e per quanto riguarda la stessa giustapposizione scenografica (si pensi al faro, la finestra che si apre sul mondo esterno nella stanza di Suzy, gli interni della casa) non c'è quasi nulla che non faccia illuminare gli occhi.

Paradossalmente, mentre tutto ciò che ci sfila davanti si copre di magico, sono i suoi giovanissimi personaggi a trasmetterci una rottura, non già con il passato perché per chiunque conosca Anderson questa tratteggiatura caricaturale non può essere una scoperta, ma con la stessa idea di fondo promossa dai suoi due piccoli protagonisti, che sono talmente carichi dell'esperienza Andersoniana, così eccentrici nel loro desiderio di consacrazione vicendevole alla propria affinità emotiva (dal gesto estremo della fuga a quello del melodrammatico quasi-suicidio, passando attraverso la precoce emancipazione raggiunta con il simbolico matrimonio celebrato in terra Scout) dal perdere via via quasi del tutto quella loro originale sembianza innocente.

Quasi, perché come ricorda il Comandante Sharp, "anche i bambini intelligenti infilano le dita nelle prese di corrente a volte". E perché il fondo generale di insoddisfazione che permea la pellicola finisce in qualche modo per traboccare oltre gli argini delle incomplete esistenze dei suoi personaggi riuscendo nel grande miracolo di non far danni, ma al contrario, riuscendo a raggiungere un punto di equilibrio che è perfettamente armonico rispetto all'impostazione.

Detto dell'ottima impressione sul piano tecnico, non si può tacere sulla regia di Anderson, particolarmente ispirata e in almeno tre-quattro scene (fra cui quella iniziale) da consegnare alla storia del recente cinema. Senza molti dubbi uno dei maggiori film degli ultimi tempi, ennesimo di tutta una serie di Anderson il quale riprende a giocare con la cinepresa (e qui giocare va inteso proprio in modo letterale, come qualcosa di spontaneo e incantato) attraverso l'originalità dei movimenti di macchina, e con le iper-espressive creature del suo universo letterario.

Si poteva, forse, fare meglio dal punto di vista delle musiche (questa volta ad opera di Desplat, non particolarmente incisive), mentre la sceneggiatura scritta a quattro mani con Roman Coppola merita cinque stelle piene.
Cast sbalorditivo e diretto alla perfezione. Si pensi solo che Bruce Willis, Bill Murray, Edward Norton, Frances McDormand, Jason Schwartzman, Harvey Keitel, Tilda Swinton e Bob Balaban si contendono, nel minutaggio esiguo della pellicola, le briciole. Ognuno di essi aggiunge un piccolo valore ad un'opera di una riconciliante bellezza che è tipica delle grandi storie che non si limitano a raccontare, ma che introducono nel nostro immaginario un nuovo modo di vedere e sentire.


Scena scelta