lunedì 26 novembre 2012

Bug, un thriller paranoide che si addentra nella mente


52 - Bug (novembre 2012)



Agnes non dispone di molto: una stanza in affitto in un Motel sperduto nell'Oklahoma, un lavoro anonimo, qualche amico, un ex marito violento e un figlio scomparso anni prima.
La solitudine l'ha fortemente convinta di non valere più di una insulsa routine senza senso e con molta droga.
Quando l'amica le presenta Peter, misterioso uomo senza fissa dimora che va blaterando di insetti e di una fantomatica correlazione con esperimenti militari governativi cui fu sottoposto anni prima e che costituiscono il motivo della sua perenne fuga, il meccanismo dell'innesco è già bello che pronto.

L'assenza di forti legami da parte della donna infatti spiega perfettamente la sua debolezza e il perché la sua mente, particolarmente fragile e dunque plagiabile, costituisca l'habitat ideale per accogliere le fobie e le ossessioni di Peter, esattamente come quel "bug" (il doppiosenso che origina fra il significato letterale - insetto - e quello figurato - errore, difetto); ma non è solo questo: è la stessa ambiguità della storia che conduce lo spettatore stesso a vagliare più versioni della storia, fintanto che non riuscirà più a distinguerle.

Non si può parlare di questo film senza mettere in evidenza il grande mestiere che si annida nella sceneggiatura, nella caratterizzazione forte e tuttavia semplice (e perciò particolarmente efficace) di ogni suo personaggio. Il crescendo è mirabile, il tocco dietro la camera è netto.
Nonostante non si faccia che parlare per tutto il tempo in uno stesso luogo (la stanza del motel in questione; ma si potrebbe ugualmente parlare di un palcoscenico di teatro) non c'è una sensazione monotonia, di prolissità, perché il film non è solo quello che succede ma è anche se non soprattutto quello che lo spettatore pensa stia succedendo (interattività); perché la tecnica è di primo livello - le allucinazioni, i suoni, i cambi di registro offrono una gamma di percezioni inerenti al sottotesto ed il montaggio cuce tutto alla grande; e perché la recitazione è straordinaria.

In tal senso i personaggi sono resi estremamente bene, e le due interpretazioni di Ashley Judd e Michael Shannon (che ha più recentemente ottenuto la notorietà che merita nel crime drama "Boardwalk Empire") valgono molto di più di quanto lo scarso successo di questa pellicola possa suggerire.
Man mano che si procede, la paranoia aumenta fino alle soglie della psicopatia e poi le supera abbondantemente, raggiungendo un apice di tutto rispetto.

Dietro la cinepresa, il vecchio Friedkin, (quello de "L'esorcista") che non si smentisce e anzi migliora col passare del tempo, ritorna sulla scena del delitto, al suo genere preferito (thriller-horror vagamente inquietanti...) dando prova di conoscere meglio di chiunque altro la mente del suo spettatore, e di saperci giocare come pochi, dando vita ad un'enigmatica e suggestiva piccola perla ingiustamente snobbata.
Consigliato.


Scena scelta






Hesher


51 - Hesher è stato qui (novembre 2012)



Un dramma coinvolge la piccola unità famigliare di T.J. A sottolinearlo sono il suo sguardo inquieto, lo stato semi-vegetativo del padre e un'auto ridotta ad un rottame.
Il piccolo e cupo spaccato della vita del bambino produce immediatamente la sensazione di un'"intrusione" in un ambiente protetto, dolorosamente sottratto alla realtà del mondo che lo circonda. Talmente surreale è la circostanza che quando il singolare Hesher (un sempre più versatile e brillante J. Gordon-Levitt, che sveste i panni della commedia pura per abbracciare quella dai risvolti drammatici già con il recente "50 e 50") fa "irruzione" in casa del bambino e vi si stabilisce, sotto allo sguardo abulico del padre, la situazione sembra procedere senza sentirsi in dovere di spiegare almeno in parte la più totale assenza di incredulità da parte dei suoi protagonisti.

Partendo da una vicenda serissima, il film si ritrova così ad eviscerarne i contenuti un po' alla volta ma quasi controvoglia; o meglio attraverso un modo tutto proprio di concepire l'uomo con se stesso e con gli altri. Quasi come una rivoluzione interiore che si estendesse alla tecnica narrativa.
Così l'assurdo, il grottesco ed il surreale, usati come enorme cassa di risonanza per enfatizzare la metafora della morte, sono allo stesso tempo gli strumenti messi a disposizione di chiunque si trovi nella necessità di farci i conti.

Il modo in cui il lutto e la sua elaborazione vengono gradualmente gestiti in una sceneggiatura non particolarmente dotata di contegno o buon senso merita comunque un sincero apprezzamento per come la situazione viene affrontata (e non schivata, come si potrebbe pensare) attraverso la sdrammatizzazione e la black comedy.
Alla larga comunque dalle più argute e parecchio più audaci commedie dark di matrice britannica, l'impatto che questo film vuole ottenere è completamente personale.
E come tale potrebbe alleggerire l'anima dello spettatore o renderla particolarmente grave.

Ma questo è un film sulle relazioni che le persone hanno, sull'ineluttabile imprevedibilità della vita, ed infine su ciò che in seguito al sommarsi delle precedenti due cose riesce alla fine a determinare in noi una nuova coscienza, fino ad un dato momento a noi nascosta. Sull'aprire gli occhi e sull'illusione; sui tradimenti, a volte.
Ma con la consapevolezza, alla fine, che ci sono cose importanti che non riusciamo a vedere finché non le perdiamo, e che i veri nemici sono proprio quell'immobilismo, quel piangersi addosso che si possono sconfiggere solo attraverso l'azione, anche quando comporta la follia (come ad esempio l'omaggiare con un eccentrico elogio funebre un caro appena estinto).

Buoni sentimenti e lieto fine (che qui non vedrete) a parte, però, la cosa importante è che film come questi trovino finalmente una propria dimensione e un modo di raccontare storie su argomenti non facili senza dover per forza suonare falsi.
Perché l'arte può e deve mantenere una sincerità di fondo, soprattutto quando la posta in gioco si fa pesante, e la riflessione ci riguarda tutti.


Scena scelta