lunedì 26 novembre 2012

Hesher


51 - Hesher è stato qui (novembre 2012)



Un dramma coinvolge la piccola unità famigliare di T.J. A sottolinearlo sono il suo sguardo inquieto, lo stato semi-vegetativo del padre e un'auto ridotta ad un rottame.
Il piccolo e cupo spaccato della vita del bambino produce immediatamente la sensazione di un'"intrusione" in un ambiente protetto, dolorosamente sottratto alla realtà del mondo che lo circonda. Talmente surreale è la circostanza che quando il singolare Hesher (un sempre più versatile e brillante J. Gordon-Levitt, che sveste i panni della commedia pura per abbracciare quella dai risvolti drammatici già con il recente "50 e 50") fa "irruzione" in casa del bambino e vi si stabilisce, sotto allo sguardo abulico del padre, la situazione sembra procedere senza sentirsi in dovere di spiegare almeno in parte la più totale assenza di incredulità da parte dei suoi protagonisti.

Partendo da una vicenda serissima, il film si ritrova così ad eviscerarne i contenuti un po' alla volta ma quasi controvoglia; o meglio attraverso un modo tutto proprio di concepire l'uomo con se stesso e con gli altri. Quasi come una rivoluzione interiore che si estendesse alla tecnica narrativa.
Così l'assurdo, il grottesco ed il surreale, usati come enorme cassa di risonanza per enfatizzare la metafora della morte, sono allo stesso tempo gli strumenti messi a disposizione di chiunque si trovi nella necessità di farci i conti.

Il modo in cui il lutto e la sua elaborazione vengono gradualmente gestiti in una sceneggiatura non particolarmente dotata di contegno o buon senso merita comunque un sincero apprezzamento per come la situazione viene affrontata (e non schivata, come si potrebbe pensare) attraverso la sdrammatizzazione e la black comedy.
Alla larga comunque dalle più argute e parecchio più audaci commedie dark di matrice britannica, l'impatto che questo film vuole ottenere è completamente personale.
E come tale potrebbe alleggerire l'anima dello spettatore o renderla particolarmente grave.

Ma questo è un film sulle relazioni che le persone hanno, sull'ineluttabile imprevedibilità della vita, ed infine su ciò che in seguito al sommarsi delle precedenti due cose riesce alla fine a determinare in noi una nuova coscienza, fino ad un dato momento a noi nascosta. Sull'aprire gli occhi e sull'illusione; sui tradimenti, a volte.
Ma con la consapevolezza, alla fine, che ci sono cose importanti che non riusciamo a vedere finché non le perdiamo, e che i veri nemici sono proprio quell'immobilismo, quel piangersi addosso che si possono sconfiggere solo attraverso l'azione, anche quando comporta la follia (come ad esempio l'omaggiare con un eccentrico elogio funebre un caro appena estinto).

Buoni sentimenti e lieto fine (che qui non vedrete) a parte, però, la cosa importante è che film come questi trovino finalmente una propria dimensione e un modo di raccontare storie su argomenti non facili senza dover per forza suonare falsi.
Perché l'arte può e deve mantenere una sincerità di fondo, soprattutto quando la posta in gioco si fa pesante, e la riflessione ci riguarda tutti.


Scena scelta





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