domenica 2 dicembre 2012

Gli Hunger Games, fra fantascienza e avventura


53 - The Hunger Games (dicembre 2012)



È l'alba dei 74ª Hunger Games, e mentre la "Mietitura" (una lotteria mediante la quale una coppia di tributi di ognuno dei dodici Distretti in cui sono suddivisi i nuovi Stati Uniti sarà scelta per battersi all'ultimo sangue fino a decretare un unico e solo vincitore) si approssima, la protagonista Katniss Everdeen dà l'addio alla propria casa, alla famiglia, e alla sorella più piccola estratta a sorte e da lei sostituita come volontaria.
Si chiamano Giochi, e la loro istituzionalizzazione vuol rappresentare un divertimento, uno show, ma riflettono l'emblema di uno status quo che un'Autorità centrale ha imposto a coloro che anni prima avevano tentato di ribellarsi all'ordine costituito, in una rivolta finita nel sangue.
Gli Hunger Games servono a ricordare ad essi la loro sottomissione.

In un sistema immaginato sotto l'impronta futuristica di un autoritarismo di stampo Orwelliano nel quale tutti siamo severamente controllati per esserne educati (non il massimo dell'originalità) si apre una breccia grande quanto tutta l'America: la più qualitativamente scadente e becera forma di intrattenimento derivata nel reality show made in U.S.A. si accoppia ormai alle esigenze politiche di un regime mascherato da democrazia e ne compie il lavoro sporco. Il tutto con il sorriso sulle labbra, fra abiti sgargianti, amene cerimonie ed un pubblico lobotomizzato ed ormai talmente incapace di distinguere realtà e finzione da finire con l'essere l'inconsapevole alleato più prezioso del Governo.

Il primo capitolo della trilogia fantascientifica tratta dal romanzo di Suzanne Collins è servito in modo quasi compiacente allo spettatore, dimostrandosi da subito pedissequo rispetto al lavoro dell'autrice americana, senza spiccare per invenzioni registiche o di linguaggio.
Gary Ross (Seabiscuit, ma soprattutto Pleasantville) conscio del grande potenziale della storia (il libro è praticamente una sceneggiatura) lascia che questa parli da sé, riducendo al minimo le intrusioni e le sottolineature; come dimostra il banale montaggio, Ross si limita al compitino, dimenticandosi (o forse no) di imprimere un marchio che avrebbe probabilmente reso un servizio migliore al film.

Invece di soffermarsi sugli aspetti psicologici che risaltano nella mente della protagonista, sui rapporti umani fra gli sfidanti (o quantomeno quelli che intercorrono fra Katniss-Peeta; Katniss-Rue) e sul deprimente sottofondo sociale, ovvero su tutto ciò che avrebbe restituito almeno in parte lo spirito della storia (già di per sé non dotata di una profondità particolare e questo dice forse già tutto), Ross finisce col cercare di inserire tutto quanto il libro in 140 minuti di pellicola, senza peraltro marcare di grande ritmo il tutto.

L'esito finale non può che essere una concitata e seriale progressione di eventi che arricchisce sì il piano narrativo ma che è pur sempre limitata da un arido contorno. Quali sono le motivazioni dei personaggi? Cosa li tiene in vita? Qual è il punto in cui finiscono i freddi calcoli e cominciano i coinvolgimenti emotivi?
Qualche flashback allucinoide e brevi dialoghi non bastano a colmare questo vuoto.

Manca purtroppo anche gran parte della riflessione critica sulla società attuale (Americana, soprattutto), che con i suoi "ideali" dell'apparire ad ogni costo dovrebbe rappresentare abbastanza evidentemente un primo stadio di quel parossismo sociale descritto poi nella storia. Eppure le basi c'erano: una storia semplice, personaggi semplici, sentimenti comuni e dunque di semplice interpretazione. Servirebbe ricordare però come, quando si tratta di fare autocritica, i cineasti americani pecchino spesso di superficialità, quando non addirittura di riluttanza.
Solo che non sembra il caso di Ross (che pure un gioiellino come Pleasantville l'aveva pur sfornato), ed è deludente scoprire il contrario.

Diversamente, si rivela più che buona la componente d'azione della "battaglia", là dove forse Ross avverte più aderenza con la sua missione registica e può semplicemente raccontare quasi fosse uno spettatore egli stesso, curioso di conoscere il finale (sospeso, perché mancano all'appello due capitoli).
Discreto il confezionamento, incluso sonoro: non invasivo e sempre attento a riflettere quella soggettiva così importante nel romanzo.
Ma è sempre troppo poco, per un regista dal talento di Ross.

Buona la scelta di Jennifer Lawrence (particolarmente a suo agio nel ruolo che molte attinenze ha con quello che interpretò in Winter's Bone), decisamente meno felice quella di Woody Harrelson. Tanti caratteristi nel cast: fra gli altri, Stanley Tucci, Elizabeth Banks ed il sempiterno Donald Sutherland.


Scena scelta







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