lunedì 14 gennaio 2013

Crazy, stupid... love.


54 - Crazy, stupid, love (gennaio 2013)



Dopo venticinque anni di matrimonio, la signora Weaver (Julianne Moore) chiede il divorzio a Kal (Steve Carell).
Un fulmine a ciel sereno colpisce la sua vita, perfettamente medioborghese, ordinata, comune, con tanto di figli a carico. La notizia lo sconvolge al punto che prima si getterà da un'auto in corsa (!) per non affrontare il problema e poi si butterà nei localini dove fra shot e rimuginamenti conoscerà Jacob, incallito donnaiolo, il quale lo (re)inizierà all'arte del rimorchio dopo una vita dedicata ad un'unica donna.
Ma come anche la vita, il cinema va per paradigmi, e allora i ruoli dei due finiranno per capovolgersi inevitabilmente.

Fin qua potrebbe sembrare la classica commedia americana a far da sfondo ad una serie interminabile di gag fra le più pacchiane. Niente di più falso.
Le gag ci sono, in abbondanza ed imprevedibilmente fulminanti (il che concede loro un bonus aggiuntivo) ma fungono solo da guarnizione di un sentiero particolarmente ispirato, all'amore (come da titolo) nelle sue infinite e beffarde sfumature ma soprattutto all'imprevedibilità quasi dolorosa della vita, nella molteplicità bizzarra delle combinazioni che crea e degli insegnamenti che dà.

Ci troviamo di fronte ad un teatrino clamorosamente ben orchestrato dai due registi Requa-Ficarra, che lavorano in coppia come avevano fatto per la sceneggiatura di Babbo Bastardo (altra piccola perla del Politically Incorrect), in questo loro primo film, all'apparenza segnato da un'impronta drammatica (matrimoni in crisi, amori impossibili, incertezze, irrequietezza d'animo...) ma che non manca nemmeno per un minuto di sdrammatizzare e di cogliere sottolineature ironiche appena può farlo.

Gli elementi sono noti, già da Shakespeare: affetti non corrisposti, patemi d'amore, ed il caos ad ingenerare equivoci pazzeschi. Non solo materia di riflessione drammaturgica, ma anche il più grande combustile comico desiderabile, adeguatamente sfruttato.

Una sceneggiatura degna di nota da parte di Dan Fogelman, che può però contare sul fatto che a renderla sullo schermo sia un variegato insieme di attori più o meno noti al grande pubblico, più o meno in rampa di lancio, ma estremamente veri e convincenti.
A partire da quello Steve Carell che qui è anche produttore, diventato famoso con la famosa serie comica "The Office" e che con la sua espressività comica si trova particolarmente a suo agio nella parte (ma che è comunque bravissimo nell'insieme) per arrivare al recentemente osannato Ryan Gosling (Drive, Le Idi di Marzo) che ultimamente non fa che strappare elogi ed avvalorare i film cui prende parte.

Una forte contraddizione, quella che caratterizza il genere delle "dramedy" (a cui ormai si fa sempre più ricorso) che richiede equilibrio, i tempi comici giusti - qui portati da Carell, ma anche dallo stesso caratterista John Carroll Lynch, per non parlare poi della Marisa Tomei sguaiata che non ti aspetti; ma anche la grandissima recitazione di una consumatissima e stimatissima Julianne Moore di sicuro aiuta - ed una grande familiarità con quella stessa follia dettata dalle circostanze che obbliga a ridiscutere i termini della propria esistenza.

Un film inaspettatamente corale dalle tante sorprese che non solo merita la considerazione che ha avuto dalla critica degli Stati Uniti (come dimostrano i tanti premi come Best Comedy) ma che ci si augura possa essere solamente il primo di una serie da parte del duo che ne è artefice.

Anche perché, in tempi come questi, nei quali di certo le commedie non mancano, è proprio questo genere di film che oltre ad innalzare il livello del genere a cui appartengono riescono a tradurre in finzione il desiderio reale di vedere cose originali. Anche se parlando di cose già viste, riviste e rivisitate centinaia di volte.
Purché lo si dica forte, senza paura, con il proprio stile e sostanzialmente ridendo quando si può.


Scena scelta








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