martedì 27 gennaio 2015

The Salvation


87 - The Salvation (gennaio 2015)




È la giovane America del 1870, quella dei proprietari terrieri, dei fuorilegge e delle piccole comunità cittadine. Jon, un colono di origine Danese sbarcato nel nuovo continente assieme al fratello per costruirsi un possedimento, riabbraccia dopo sette lunghi anni la famiglia, ma accade qualcosa che non aveva previsto.

Tanto mirabile è l'ouverture di questo western dall'aria pesante e dalla fotografia fuligginosa con tanti omaggi e riferimenti ai capolavori di genere, quanto sorprendentemente ben congegnato è il meccanismo che fa da sfondo ad una vicenda molto classica ma colorata dalle ottime aggiunte di personaggi particolarmente ben scritti e riusciti.

Pur senza uscire troppo dal canovaccio, pur ripresentando il paradigma manicheo di una storia di una sfaccettata pluri-vendetta, il film di Levring sa toccare tutti i tasti giusti nel suo tentativo di creare un clima insofferente, pronto ad esplodere, in cui la connivenza è tanto concreta che si può toccare in quel suo groviglio malefico e marcio nelle fondamenta.

Dietro ogni sguardo c'è un'aria di minaccia, nelle perifrasi e nell'eloquenza dei dialoghi c'è tutto quello che serve per mantenere più o meno intatta una tensione che sfocia sin dalle prime scene, ma è soprattutto nel non-detto che arrivano le maggiori soddisfazioni: Eva Green, con il suo personaggio tormentato è seconda per intensità soltanto a Mads Mikkelsen, la cui maschera facciale resa famosa in tempi recenti più che altro dalla TV si presta alla perfezione all'ambiguità e al trasporto emotivo che il suo Jon vive in prima persona.

La resa è molto buona, il piano narrativo realistico e accurato; Levring fa muovere i suoi attori sullo sfondo arido e confuso di uno scenario di per sé poco accogliente, abitato da figure subdole e melliflue, che semina ingiustizia e promette nel suo incedere una moltitudine di azione e violenza puntualmente profilata in un finale risolutivo.

Per il fattore novità rivolgersi altrove, ma se invece tutto quello che cercate è un ottimo film western in grado di intrattenere e far tornare per un po' il tempo a dove si era fermato molti decenni fa, prima che il progresso facesse il suo inevitabile corso, questo è il film che fa per voi.



Scena scelta










Begin again


86 - Begin again (gennaio 2015)




Quasi dieci anni fa usciva Once, il film che, parlando di due musicisti con un sogno comune, aveva portato alla notorietà John Carney. Dopo tutto questo tempo, il regista irlandese torna sulla scena del delitto, verrebbe da dire, tante sono le analogie con il precedente film.

A cominciare dal tema musicale, onnipresente, che qui oltre a divenire metafora per la vita in generale, lo diventa anche in combinazione con le meccaniche del business musicale, delle case discografiche, e quel perenne e irrisolto dualismo fra le grandi produzioni che radono al suolo tutto quello che incontrano e le piccole etichette che tentano di venire a galla in tutta quella competizione.

Carney, ex bassista di un gruppo musicale di nicchia e autore indipendente, identifica chiaramente se stesso (e il suo cinema) con il protagonista del film, un Ruffalo che offre un ritratto sincero e convincente di un ormai stanco talent scout socio di una Major e, afflitto da mille problemi personali, desideroso di ritrovare se stesso e lo spirito libero che lo accompagnava un tempo.

Il Dan Mulligan di Ruffalo incontrerà la Greta di Keira Knightley, anche lei con un nebuloso passato; insieme ci re-introducono alle tematiche dei nuovi inizi e dell'abbandono delle nevrosi imposte da un sistema famelico per riabbracciare l'eccitazione puerile dei sogni romantici, come se il distacco dai propri fallimenti o supposti tali potesse rappresentarne lo spartiacque. Carney è molto intelligente e delicato nello stratificare il suo film, in realtà molto semplice e diretto nel messaggio, servendosi ancora una volta del contatto elegiaco fra due persone che si trovano nel posto sbagliato al momento giusto.

Una commedia orgogliosamente naïf, ben architettata e sorretta da efficaci interpretazioni che cerca di riportare al centro del discorso le sofferenze e i traumi di esistenze interrotte o spezzate annegandolo nella suggestione della poesia musicale che funge sì da facile richiamo emotivo ma che allo stesso tempo ha un significato e una funzione ben precisi nel proseguire il punto di vista del suo autore, cioè scrivere di come la musica cambia continuamente la vita delle persone per il semplice fatto che esiste.

Riportando le cose all'essenza della semplicità, e con piglio donchisciottesco, la musica diventa strumento risolutivo mentre le strade si trasformano in studi musicali ambulanti e le persone incontrate lungo di esse ne sono gli interpreti; l'avversione per il consumismo e la dittatura dei numeri all'interno di un panorama che non fa nulla per reinventarsi o sperimentare emerge con la stessa forza consapevole del valore della condivisione come necessità di base per raggiungere un'autenticità altrimenti falsata in partenza; una ricerca spontanea, naturale, fatta di intimità e raggiunta attraverso una catena di persone più che di soldi, di comunanza di idee più che di una vacua brama di successo che spersonalizza e distorce le prospettive.

Anche qui come in Once lo stile si fonde con il contenuto, Carney riporta quella stessa umiltà delle radici del concept nella direzione artistica di un cast abituato a pellicole di questo tipo, e che vi è quindi particolarmente adatto, ma che oltre a questo si cala perfettamente nello spirito partecipativo che sottende, dando grande spazio all'improvvisazione e ammorbidendo di molto il tono di un film che riesce ad essere dolce anche quando velatamente polemico, perché ispirato e forte delle proprie convinzioni.

Carney preferisce di gran lunga abbandonarsi alla grande nostalgia evocata dalla colonna sonora firmata da Gregg Alexander (e arricchita da Adam Levine) e alla bellezza che i suoi personaggi hanno sotto agli occhi ma che sfugge loro proprio perché distratti dalla momentanea infelicità, che non lanciare dardi infuocati contro la causa della stessa, e il risultato è un altro film che sa farsi apprezzare sia per quello che dice sia per come sa dirlo.


Scena scelta