venerdì 18 novembre 2016

Flashbacks: Nuovo Cinema Paradiso






Nuovo Cinema Paradiso (Tornatore, 1988) è un film incredibile sotto molti aspetti, straordinariamente emozionante nella sua semplicità (sia narrativa che strutturale), terribilmente evocativo e strappalacrime, e che riesce a raggiungere uno spessore universale (l'amore, i ricordi, l'infanzia) malgrado parta da una base più specifica, apparentemente limitante (il paesino con i suoi campanili e campanilismi, l'autoreferenzialità cinefila, la dimensione privata del sogno) e trovo che sia proprio in questo gioco la spiegazione del fantastico successo che il film ha avuto, cosa straordinaria se si analizza il recente trend, non solo in Italia ma anche all'estero.


Il film è una metafora sotto molti aspetti, è in effetti prima di tutto una metafora sul cinema (un cinema dentro al cinema - in senso astratto - in un cinema - in senso fisico; è metacinema, è cinema che riflette su se stesso, sul potere delle sue immagini): la vita degli abitanti di Giancaldo, un paesino siciliano del secondo dopoguerra è attraversata e condensata nel film di Tornatore (che gioca proprio sulla manipolazione del tempo e dello spazio per rappresentarne il cambiamento, in contrasto con la tendenza intrinseca del cinema di fermarlo) nella piazzetta del paese in cui si svolge gran parte del film e dell'esperienza di Salvatore. Lì si trovano la chiesa e la parrocchia di Don Adelfio presso cui Salvatore prende confidenza con le usanze religiose infiltrate nel tessuto della comunità ma anche il Cinema Paradiso (sempre di proprietà di Don Adelfio) che lo introdurrà al fascino di immagini mai viste prima, e che diventerà il simbolo della sua formazione: al suo interno il piccolo Salvatore cresce, osserva con occhio innocente il mondo artificioso e attraente della pellicola ancora in celluloide, condivide il valore sentimentale di quelle immagini con la società lì riunita, è sempre qui che stringe l'amicizia più significativa della sua vita - quella con Alfredo -, che conosce il significato di guadagnarsi da vivere (dopo Alfredo, sarà lui il proiezionista del cinema), e che suggella il primo, indimenticato amore - con Elena.


Tornatore dietro la macchina da presa e Morricone attraverso le sue musiche probabilmente ineguagliabili raccontano questa rivelazione che si sdoppia più e più volte in significato: il film comincia e finisce con un Salvatore adulto che si alterna con il lunghissimo, portante, flashback centrale della sua infanzia; ci rivelano due persone totalmente diverse: mentre la prima è ormai adulta, profondamente disillusa e apatica, la seconda è il ritratto della scoperta innocente ed eccitante, del gioco, della curiosità; mentre la seconda vive ed interiorizza quell'attimo, la prima non ha altro modo di accedere a quel surrogato di felicità se non attraverso il ricordo.
Cos'è successo? È quello che si chiede il film.
Le risposte sono due, entrambe valide, entrambe facce della stessa medaglia: è successo il Cinema, è successa la vita.

Salvatore alla fine è stato segnato da un'avventura più matura e grande di quelle inizialmente ingenue (e poi sempre meno) del suo Cinema Paradiso, un viaggio che lo ha portato lontano da quello che amava, lontano dalle promesse utopiche dell'amore perfetto, del lieto fine e della semplicità narrativa del suo cinema. È interessante notare come Tornatore alterni i titoli proiettati all'interno del Cinema Paradiso secondo una logica sì cronologica ma utile proprio a rappresentare il tempo che cambia e rende le cose più complesse: se alcuni dei primi titoli che accompagnano Sal al cinema appartengono al realismo poetico francese e soprattutto al neorealismo italiano che nacque proprio con il racconto delle vite comuni di personaggi interpretati da attori presi dalla strada (di cui Tornatore riprende molto la forma spontanea e la facciata sentimentale), man mano che si procede le cose si fanno più complicate, si scopre il sesso (viene proiettata la fantastica scena di "Et dieu creà la femme" di Vadim con B. Bardot), la vita del paese viene organizzata su nuovi criteri, Sal appunto si innamora e scopre le insanabili differenze di ceto sociale (partirà poi per il servizio militare per tornarne con nulla in mano...), la gestione del (Nuovo) Cinema Paradiso passa di mano e anche la censura viene abbandonata.

Su questo c'è un aspetto ancora più divertente e significativo rispetto al modo in cui Tornatore la affronta: le spigolosità di don Adelfio, così ritroso nel mostrare alla gente del paese le scene dei baci nei film proiettati al punto che tutti i fotogrammi incriminati vengono tagliati dalla pellicola con sommo disappunto degli spettatori in sala sono sottolineate con acuti umoristici e raccordate dall'uso allegorico della Campana: la vediamo in una delle primissime scene, quella che dall'alto del campanile introduce alla piazzetta con un dolly per poi tagliare con un match cut sulla campana ben più piccola che don Adelfio stringe nelle sue grinfie mentre assiste a una proiezione per segnalare ad Alfredo i fotogrammi da censurare; la campana (e il suo suono assordante, che richiama alla realtà) è usata inoltre per chiamare il gregge a messa e per segnalare l'inizio delle lezioni scolastiche. Sono tutte manifestazioni di un dovere reale, incombente che si pone in conflitto con le immagini patinate, le calme illusioni cinematografiche, e gli idilli del desiderio: nella realtà esistono squilibri, esami da superare, non ci sono ellissi e le parti noiose, a differenza delle scene erotiche, non vengono tagliate via.

Tornatore accompagna in generale poi molte delle sue inquadrature con la tecnica dell'incorniciatura dell'immagine dentro un'altra immagine ("frame within a frame") che oltre ad avvalorare l'idea generale del metacinema, assume diversi, ma similari, significati a seconda del momento: all'inizio del film significa distanza:



(La madre di Salvatore spera in un suo ritorno, lo smisurato mare li divide e la finestra permette un contatto astratto)

...poi voyeurismo e il senso peccaminoso della scoperta:



quindi rende con una metafora la posizione privilegiata di chi è artefice materiale del film (sia regista, sia proiezionista) o, come dice più o meno Alfredo, "quando hai il potere di far ridere tanta gente è una bella cosa".




e infine simboleggia la separazione e le traversie nell'amore:



Tornatore utilizza molto i movimenti di macchina per enfatizzare quest'idea dinamica che torna al concetto del tempo che cambia, della piazza in fermento che trova consolazione nell'unica valvola di sfogo di una vita altrimenti avara di piaceri, e con le angolazioni a volte estreme:



(il controllo e la manipolazione)



(L'affarismo, seppur con inclinazioni umoristiche)



(La vista "dall'alto" è usata più volte per trasmettere l'idea di un quasi-Dio che crea il cinema, o comunque lo mette a disposizione di tutti, con una certa sofferta compiacenza)



Qui, una delle prime scene in cui Salvatore può guardare il film in sala come ogni altra rispettabile persona e non spiando di nascosto, Tornatore ne esalta tutta la formidabile eccitazione, il potere che il cinema ha di farlo sentire a sua volta potente è rappresentato dalla sua immagine sovrastante con una deformazione visiva che non vuole limitarsi a raccontare, vuole anche introiettare il momento vissuto, renderci più consapevoli di un punto di vista segnato in ogni minuto del film (sia quello che guardiamo noi sia quello che guarda Sal) da un ricordo, un vissuto.

L'altra ambiguità è proprio questa, il conflitto fra la piattezza della vita che il Sal Adulto vive e la dimensione immaginifica del ricordo e dell'illusione. È attraverso i frammenti di pellicola che Alfredo ha tenuto da parte che il Salvatore adulto si riappropria, seppur solo per un momento, della sua infanzia e che rivive il rapporto speciale con l'amico (e più tardi con il primo amore Elena):



È solo un momento, il prima e dopo sono caratterizzati da tutt'altro (Salvatore è ormai diventato un regista di successo, ma ormai è solo un mestiere, come lo era quello del proiezionista, qualcosa è andato perduto nel processo) e Tornatore ci ricorda l'amara lezione per cui non ci è dato galleggiare in eterno sul passato, ma allo stesso tempo evidenzia tutta la sua contraddizione nella irrinunciabile desiderabilità dei ricordi e delle illusioni che vivono - entrambi, grazie a questa scena - nel Cinema con la c maiuscola e minuscola.

Da notare la presenza di una varietà di schemi, oltre a quelli già evidenziati: è al buio della sala che appartengono i gesti romantici, innocenti, poi il tempo passa e man mano che il film si "sbarazza" del Cinema Paradiso si sbarazza anche della sua artificiosità e la riproduzione di quel romanticismo fra i campi con Elena non ha più bisogno della luce di un proiettore e una sala scura. Così come, l'interno (del cinema) simboleggia isolamento, senso di protezione, incanto, mentre l'esterno è un teatro che racchiude il primo e lo ordina gerarchicamente (al punto che sostanzialmente ne segna la modifica prima e la distruzione poi, sopravvivendogli). Tutto quello che vale la pena di essere rivissuto (l'amicizia, l'infanzia, l'amore, la perdita dell'innocenza) è legato al NCP, ma poiché il ricordo implica che stiamo evitando di vivere, il ricordo ha quasi il valore delle Sirene di Omero: tentatrici, sebbene meravigliose, ammalianti ancorché potenzialmente distruttive; e soprattutto, niente di concreto dura in eterno (i cinema bruciano, vengono ricostruiti e abbandonati), ma le cose astratte sì fintanto che viene preservato il valore della loro condivisione: il Cinema riesce a farlo meglio di molto altro da molto tempo.

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