domenica 10 febbraio 2013

Un risveglio dal torpore moderno: Holy Motors


55 - Holy Motors (febbraio 2013)



Mentre un uomo si sveglia e si affaccia su un anonimo cinematografo, a Parigi una Limousine bianca della Holy Motors ospita al suo interno un altro uomo, di nome Oscar; ad attenderlo una giornata densa di "appuntamenti", per presentarsi ad ognuno dei quali si sottoporrà ad un continuo e radicale cambio di identità.

All'assillante domanda di originalità che accompagna un cinema come quello moderno (ma non solo) fatto sempre più di cose già viste, cliché e convenzioni, va di pari passo un'evoluzione dell'espressività, dell'etica e dell'estetica, della parola e della metafora.
Non senza saltare da un estremo all'altro, va detto, ma questo Holy Motors sembra volersi caricare sulle spalle un peso che dimostra di saper sopportare: un innato spirito di ribellione che pervade la sceneggiatura prima ancora della pellicola.

Un film la cui scena iniziale la dice già lunga citando un vecchio cult di King Vidor, La folla, emblema cinematografico di una rottura con la filosofia apertamente sognante dell'epoca e caratterizzato da una potenza realista e visionaria profondamente radicata in una coscienza sotterranea, intima.
Similmente, qui il lavoro di Carax ne ricalca i fondamenti stilistici ma allo stesso tempo esplora dentro se stesso, si trasfigura attraverso un processo di creazione cui il suo protagonista - o meglio sarebbe dire "uno dei tanti protagonisti" - adempie con impressionante spontaneità; mediante il quale egli di volta in volta si reinventa, si rappresenta e realizza.

Non è quindi un caso che Carax affidi la responsabilità del meccanismo proprio al genio trasformista di Denis Lavant, che dà vita ad una sequela di cambi di registro semplicemente allucinanti, per alcune delle scene più "patologiche" e schizoidi si ricordino di recente anche nel panorama Europeo, ivi compresa la romantica e mitologica ricomparsa di quel Merde già ammirato nel secondo episodio del film a sei mani del 2008 Tokyo!.
A fare da contorno una serie di personaggi minori (tra cui Eva Mendes e Kylie Minogue interprete anche della colonna sonora) con cui Lavant interagisce, dando origine ogni volta ad una nuova esperienza non solo strettamente sul piano del racconto ma anche e soprattutto su quello artistico, laddove ai soliti clichè (come il melò, la satira o il musical) si affiancano innovandolo situazioni come minimo stravaganti, sconnesse, divertenti, sorprendenti, talvolta fuori dal controllo di ogni logica.

Proprio dove lo spettatore è più vulnerabile e quindi più raggiungibile.

Ci troviamo in una dimensione nuova; in cui l'ossessivo ricorso a figure anticonvenzionali sfocia all'interno di un'enigmatica e grossomodo inesplicabile sceneggiatura i cui sottili equilibri fra la nuda realtà e la finzione scenica sono mediati dalle mille possibili interpretazioni, dai tanti interrogativi e dalle chiavi di lettura concatenanti, anche alla luce di quella che sembra essere una riflessione futuristica su una civiltà che tende ad evolversi assieme alle sue derivazioni sociali e alle conseguenti forme d'arte ("Rimpiango le videocamere. Quando ero giovane erano più pesanti di noi, poi sono diventate più piccole delle nostre teste; oggi non le si possono nemmeno più vedere").

Sperimentale, disorientante, fuori dal conforto tiepido di un film per tutti, Holy Motors va visto con una predisposizione particolare all'apertura mentale nei confronti del nuovo o perlomeno di ciò che tenta di esserlo, che di per sé lo definisce.
Nonostante la difficile assimilazione e la scarsa pubblicità può però accontentarsi del gradimento della critica europea (che fra l'altro lo ha messo in competizione a Cannes 2012, vinto poi da Amour di Haneke) ma anche dello stesso pubblico che sembra aver ben accolto la sfida del regista francese.
Specie protetta.


Scena scelta





 



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