martedì 23 settembre 2014

Snowpiercer


78 - Snowpiercer (settembre 2014)




Il nuovo viaggio mentale di Bong Joon-ho ha inizio su un treno, diciassette anni dopo la glaciazione che ha colpito e decimato la Terra. Ciò che ne rimane è racchiuso fra i suoi vagoni, con un'umanità evidentemente distinta in classi sociali ma allo stesso tempo connessa dal bisogno di unitarietà per continuare a sopravvivere.

Lo spunto del regista Coreano, che altro non è che una metafora capace di offrire una nuova e fresca angolazione su un tema antropologicamente interessante, è talmente pregno di intrigo, di prospettive e di scenari su cui far girare l'immaginazione che riesce molto difficile non venirne catturati sin dalle sue, concitatissime, battute iniziali.

Come va di moda ultimamente nel genere fantascientifico-distopico (vedi Hunger Games) si parla di una rivolta, di disuguaglianze economico-sociali e si legge il tutto con la provocazione di una condanna allo status quo in cui il potere cessa di essere malefico o intimidatorio; riesce ad essere inquietante per contrasto e stravaganza, non si nasconde ma anzi si mostra apertamente, evidenzia nei suoi ruoli iconici una tratteggiatura al limite del caricaturale.

Le classi più povere, che devono fare i conti ogni giorno con la morte, ne conoscono la drammaticità e ne sono portatrici; quelle più agiate hanno accesso ad un maggior numero di informazioni ma sono calcolatrici e avide in un senso farsesco, compiaciuto.

Bong Joon-ho prende a prestito molto dal genio surreale di chi l'ha preceduto (ad esempio Gilliam), ma nella sua riverenza si permette di lanciare un messaggio che rischia di essere molto più rivoluzionario di quello dei precedessori, sfiorando il capolavoro.
Il problema è che lo fa timbrando il suo lavoro di un effetto pulp che fa molto "commistione fra più modi diversi di vedere il cinema", calando sul film una catarsi che richiama il Revenge-Movie di grande inflazione nel cinema asiatico, che non convince del tutto.

La mescolanza di genere non rende un grande servizio al film, in parte perché qualunque tipo di analisi o di riflessione ne esce un po' ridimensionata, annacquata e in parte perché le performances volutamente sopra le righe (su tutte Tilda Swinton) dei suoi attori finiscono spesso per cadere nell'assurdo, ben oltre l'effetto grottesco desiderato.

Tanti gli elementi di continuità stilistica da parte di Bong Joon-ho, che però a differenza di un buon horror con poche pretese com'era stato The Host era chiamato ad un salto di qualità nella sua prima produzione non rigorosamente Coreana, con finalmente la possibilità di dirigere attori di grande livello internazionale. Qualcosa che non gli riesce fino in fondo.

Ed in effetti il film non è uno di quelli che sarà ricordato in eterno. Per i tempi che corrono è abbastanza divertente e solido, ma accusa colpi man mano che avanza e si perde un po' sotto la sua stessa pesantezza prima di portare ad un finale comunque riuscito.
L'azione, onnipresente, non solo è invadente ma neanche particolarmente brillante nella sua resa.
Bong Joon-ho, tecnicamente a suo agio in quelle scene, le dirige con personalità ed offre un quadro visivo di grande effetto, ma perde di vista troppo spesso la fluidità del racconto ed il suo significato per dirci qualcosa che già non sapevamo, sul tema o sul suo modo di fare cinema.

Rimane un prodotto di buon livello, ma senza particolari picchi o echi da tramandare ai posteri.


Scena scelta







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