martedì 4 novembre 2014

Frank


79 - Frank (novembre 2014)




Jon ama canticchiare in cerca dell'ispirazione, la melodia giusta. Ha discrete abilità musicali ma mediocri idee compositive, oltre ad una singolare ossessione per il successo.
Cerca una sua personale originalità e la trova invece in Frank, geniale musicista che ha comunque la stravagante abitudine di indossare costantemente una grande testa di cartapesta.

Ne fa l'incontro nella prima delle tante scene surreali ed iperboliche che delineeranno il ritratto di una band dal nome impronunciabile (quella di Frank, quella in cui Jon entrerà) che è come un piccolo e bizzarro cerchio protetto all'interno di uno molto più sconfinato, quello della normalità.
La voce interiore è (auto)isolamento, è ricerca dell'eccesso, è la maledizione degli stereotipi e la fuga dalle realtà fabbricate e dolorose del mondo contaminato ed omologante.
Così Frank conquista il giovane Jon, aiutandolo a scoprire se stesso. In cambio, ne viene blandito e sempre più conquistato dalla sua smania di sfondare, di piacere.


In perenne bilico fra la commedia nera (a tratti quasi slapstick) ed il dramma esistenziale, Frank è un film che si eleva sulla mediocrità dei film di oggi proprio per il suo rifiuto ostinato ad essa.
Dentro, c'è una storia complessa, che parla di malattie mentali, tendenze suicide, perdita di sé, sconvolgimenti in serie. Dell'incapacità di accettare e di accettarsi secondo le regole imposte.

Mette in discussione tutto quello che pensiamo di sapere (o pensiamo di voler sapere), rovescia cliché e prospettive; nella sua pretesa di lanciare un messaggio non è pretenzioso, nella sua implicita anaffettività si espande in una richiesta di affetto che è ben facile riconoscergli per empatia.
Frank è molti di noi, oggi, qui, in questo tempo.

Siamo circondati da una società normalizzante, che si nutre di numeri di visualizzazioni on-line, amici virtuali, hashtags e che ha un bisogno abnorme di socializzare con estranei in tempo reale per dare un senso alla propria esistenza.
In una diluizione sempre più evidente di significati ed invidualismi, e di perdita di contatto con la realtà, Frank sembra voler gridare con gentilezza la propria voce stonata all'interno dell'assordante vuoto creativo, ideologico, culturale che ci invade.

Con la (sorprendentemente buona) musica in un sottofondo farsesco e al contempo esilarante, quest'esperienza è una presa di coscienza interiore, un inno alla marginalità dell'essere, ma allo stesso tempo una condanna al lasciarsi giudicare con troppa facilità, sotto il rifuggire delle pressioni di quel grande cerchio che va stringendosi, pericolosamente ed inesorabilmente.
Allo stesso tempo riflette su se stesso, mette in guardia dal suo stesso entusiasmo, che può rivelarsi un inefficace filtro per orientarsi nelle insondabili profondità dell'animo umano, impedendoci di distinguere nella stratificata realtà.


Non c'è veramente elemento di questo film che non concentri su di sé un carico di ilarità e che non strida a contatto con gli altri esattamente nella stessa misura in cui disfunzionale è il suo gruppo musicale e, alle orecchie della normalità, inascoltabile è la loro musica (immancabile, poi, il Theremin per un tocco alternativo).
Tutto questo si traduce in un brusio, cacofonico o meraviglioso, opprimente o liberatorio, fine a se stesso o da aggiustare perché piaccia anche agli altri.

Ma l'imbarazzo non è tolto; quando la maschera vola via (effettiva o per metafora quella di uno schermo virtuale di un account youtube) ciò che resta è la nuda realtà ed una disillusione da scoprire persino fra i nomi di ipotetiche cittadine del Mid-West U.S.A.


Un film dal grande richiamo emotivo, che va ben oltre la mera affermazione di uno stato mentale e che deve alla sua originalità il merito principale della sua, totalizzante, bellezza.
Buffo senza essere ridicolo, toccante senza essere molesto, malato senza essere morboso, diverso senza sentirsi colpevole.

Fra le righe di un Frank interpretato con grande impatto da un nuovamente ottimo Fassbender ed ispirato (con faccia posticcia e tutto) al Frank Sidebottom di Chris Sievey, si muove uno strato di resistenza ontologica al cambiamento, all'imponderabilità di una grandezza travolgente e come ad accoglierne il risultato, prende forma il processo creativo dell'arte stessa e del pensiero che vi confluisce.

Una salvaguardia della sacralità di un Io Pensante, a volte decisamente ai limiti dell'eccentricità e del weirdo di cui questo film fa un edonistico sfoggio, limiti che però è sempre lasciato alla soggettività definire.

Si ride, si pensa, si è intrattenuti con sapienza; a volte si ha la tentazione di allontanarsene perché straniante, impenetrabile, confuso, ma il film di Abrahamson ha tutto per incantare qualunque tipo di spettatore sotto la sua scorza apparentemente hipster che lo inquadra in un certo tipo di cinema di cui altri esempi sono Dummy o Lars e una ragazza tutta sua.

Fra i tanti misteri che lo rivestono c'è quello di un cinema fresco, intimo, che racconta di un mistero ancora più grande dentro di sé: quello di fare film nel 2014 che non siano un vacuo spettacolo di energie profuse solo per stupire, ma che lasciano un solco dietro di sé e, in qualche modo, si servono della realtà piuttosto che il contrario.


Scena scelta












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