domenica 2 marzo 2014

12 anni schiavo


76 - 12 anni schiavo (marzo 2014)




McQueen sceglie l'odissea di Solomon Northup, basato sull'omonima biografia, per affrontare da regista di colore britannico qual è il tema dello schiavismo americano.
Una storia essenzialmente straziante che vede il suo protagonista, da un giorno all'altro, essere svuotato di tutto ciò che ha e quindi di tutto ciò che è.

Con questo atto introduttivo, McQueen inizia quindi la sua opera di messa a nudo (non solo dal punto di vista fisico): il suo film è inevitabilmente legato all'esperienza del dolore come lo sono stati prima Hunger e poi Shame; anche qui c'è tutta una esteriorizzazione della sofferenza che non è solo quella apertamente ostentata nella violenza delle torture e nelle punizioni corporali, ma che si trova anche fra esilii e lontananze, nelle lettere scritte e poi bruciate, nell'incapacità di trasmettere gioia ad un corpo che riconosce le note di un violino suonato.

In una cornice scenica ricreata ad arte dove è illustrata con dettaglio la condizione della schiavitù e dove si incastrano le vite che incontriamo lungo il cammino, la prospettiva che ci viene regalata è quella di un uomo ferocemente aggrappato alla propria umanità: un uomo che in 12 anni di segregazione è costretto a compiere atti disdicevoli per sopravvivere, ad ignorare i propri impulsi e sentimenti umani ma che cerca al contempo di non perderli del tutto.
È questa determinazione, racchiusa nella penosa compostezza del suo protagonista a parlare fra le righe di un film altrimenti amorfo.

Una prova non facile per Chiwetel Ejiofor che però si dimostra all'altezza di un cast che comprende Fassbender, Giamatti, P. Dano, B. Pitt e che dà all'insieme probabilmente la maggior ricchezza attoriale ed espressiva fra i film di punta di quest'anno.
Una recitazione notevole che ha il merito di oscillare fra bene e male senza ridurre il tutto ad una vuota rappresentazione manichea sul rapporto schiavo-padrone e senza soprattutto regalare sensazionalismo o retorica, prede facili nella trattazione di una realtà simile.

Anche la dicotomia bianco-nero non è gretta, superficiale nel suo corrispondere a male-bene; l'intento di McQueen sembra invece quello di cercare disperatamente, attraverso gli occhi del suo protagonista, proprio qualcuno che possa smentire questi stereotipi ed è a questo prezzo, a questo rischio implicito, che il regista vincola la difesa della propria dignità, la conservazione del proprio spirito.
Lavorando con la cinepresa, McQueen offre una vastità di cenni ai rituali, alla ripetizione (come in quell'atroce piano sequenza dell'impiccagione), in parte per trasmettere l'idea claustrofobica di un tempo che sembra non passare mai - la resa qui non è perfetta ed è fra i difetti del film - e in parte determinando una sorta di scissione fra materia e anima perorando in un certo senso l'ipotesi che la seconda possa sfuggire o anche sentirsi fortificata nell'afflizione inferta a ciò che la contiene solo se adeguatamente nutrita con la negazione della sottomissione.


In tutto ciò, a spiccare sono sicuramente le scene più brutali e truci, ma il film non se la cava con facili scorciatoie o morali. Tentare di rimuovere le falsità senza venire a compromessi e promuovendo allo stesso tempo qualcosa di diverso per raccontare di un lirismo simbolico disseminato ovunque è qualcosa che fa di questo film un film a suo modo audace, originale: impara la lezione dai suoi predecessori ma ci aggiunge un'angolazione fresca, personale e rimuove le censure così da compenetrare lo spettatore e renderlo partecipe di qualcosa che non si ferma ad una nuda narrazione schematica, ma che vuole lasciare il marchio indelebile in ciò che racconta.

Fra tutto quello che funziona in questo senso, da ricordare anche il ritratto offerto dalla performance di Lupita Nyong'o, che nella sua capacità di incrinare e agitare le coscienze, ha un'influenza importante su quello che per estensione ed intensità non può che essere un soverchiante sentimento di sopraffazione difficile da digerire che il film è molto attento a non sminuire e che porta con sé fino all'ultimo respiro, ansimante, del suo protagonista.

Scena scelta










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