venerdì 13 gennaio 2017

Sing Street

110 - Sing Street (gennaio 2017)



Una citazione (banale, ma quantomai calzante) di Almost Famous diceva: "Il Rock 'n Roll salverà il mondo".

John Carney, ormai un vero e proprio veterano delle dramedy musicali (Once, Begin Again) si rituffa nella mischia cercando questa volta, in continuità con il suo pensiero di massima (la musica segna la nostra crescita e soprattutto entra nelle nostre vite nei modi più inimmaginabili, e le trasforma senza che ce ne accorgiamo nelle cose più impossibili) di adattare la grande dicotomia della vita (sogno/realtà) e del dramma dei suoi film (personaggi in crisi d'identità) all'esperienza di un teenager della Dublino degli anni '80 in cui lo stesso regista è cresciuto.

Qui il sogno si chiama "Londra" ed è lontano una lingua di mare, ma il sogno è più una sorta di incanto, un vestito o un look, una maschera con cui circumnavigare i disastri famigliari, le pressioni sociali dell'Irlanda in stagnazione economica, il bullismo, il rigore repressivo cattolico del paese, il suo conformismo conservativo. Una maschera come il Rock 'n Roll, che modella stili personali e promuove un individualismo magnetico, caratterizzante, energico e "muscolare". Il cambiamento è costante in tutto il film, e anche se non lo è in modo capillare (i personaggi secondari - e non solo - restano veri e propri stereotipi viventi), lo è per quanto riguarda il rapporto musica-realtà, che è il vero obiettivo di Carney.

È la scelta musicale (del momento, del gruppo, del genere) a modificare sempre di più il principio attivo di una band, la "Sing Street" del protagonista, del tutto improbabile che suona musica molto arrangiata e di seconda mano. Di volta in volta viene introdotto un ingrediente nuovo, l'arte dà accesso a una scoperta interiore e così musica e testi, anche se poco originali, trasformano punti di vista e personalità.

Ma d'altra parte Almost Famous diceva anche: "Non credo che qualcuno possa spiegare che cos'è il Rock 'n Roll". Carney ci prova troppo e troppo a lungo, soprattutto lo fa senza un adeguatamente potente sostrato di supporto (sia la tragedia sentimentale di Once o la vis polemica - e politica - e della poetica dei nuovi inizi in Begin Again che qui ammicca ironicamente all'Uomo Nuovo Futurista) e con decisamente meno profondità soprattutto perché la musica che usa qui, di profondità, ne ha poca. Come si trattasse di un film che parla bene ma non agisce altrettanto bene.
E allora, messa da parte la insincerità di uno sfondo sociale o strutturale molto abbozzato, il risultato dell'interrogazione interiore è quello di una semplice commedia sentimentale che vorrebbe essere eccentrica alla Wes Anderson (a tratti lo è) ma è più che altro eccentrica alla "High School Musical non dovrebbe venire in mente ascoltando musica anni '80, neanche se si tratta di pop muzak, e meno che mai se si parla di Rock 'n Roll".
Troppo superficiale per essere sentimentalmente credibile, troppo ossessionato per essere veramente divertente.

Semplicemente, qui Carney alza poco la posta e finisce poi sfinito in un labirinto di situazioni assurde che si ricalcano, di personaggi un po' troppo macchiette e di un messaggio (Musica-Realtà) questa volta annacquato in un inverosimile senso di artefatto e di irresolutezza. Una cosa però non la si può rimproverare al Carney sceneggiatore ed è la spontaneità con cui rimane fedele al proprio romanticismo, capace di affiorare con una facilità disarmante anche dove non vorresti aspettartelo.

Una medaglia a due facce che qui ne mostra però fondamentalmente una sola, ed è il conforto spirituale semi-serio, ingenuo di un'ingenuità diversa da quella positiva dei suoi personaggi e poco credibile copiato da un Sogno Americano alla School of Rock più che il risultato di un'esperienza emotivamente autentica, "sondabile" e pienamente disponibile come quella che prorompeva dai suoi precedenti lavori.


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