martedì 18 novembre 2014

Locke


82 - Locke (novembre 2014)




Per la serie "grandi film a basso budget", c'è questo gioiellino britannico diretto da Steven Knight.

Si chiama Locke, come il suo protagonista che per tutto il corso del film si vedrà affrontare il viaggio da Birmingham, in cui ha una famiglia ed un lavoro di responsabilità, a Londra, città in cui vive Bethan che, si scoprirà, sta per avere il figlio da lui concepito al di fuori del suo matrimonio tempo prima.

Locke allora si lascia tutto alle spalle, la sua Birmingham, la moglie, la famiglia, la partita alla TV con i figli, l'impegno lavorativo mastodontico che solo lui è in grado di portare avanti.
Fugge, ma in realtà va incontro alle sue responsabilità, affrontando un senso di colpa di cui la precedente storia di suo padre ha alimentato lo spettro.

Questa piccola perla, recitata interamente a bordo di un'automobile con un Tom Hardy in modalità one-man-show e solo un apparecchio telefonico installato on board ad inserire nel film le voci dei personaggi secondari permettendo così i dialoghi di cui è straripante, è uno di quei lavori che alla fine, dopo averli visti, ti lasciano con grande soddisfazione.

Basta un'idea (semplice), una sceneggiatura scritta con ritmi ben scanditi, scambi di battute continui, salterelli da una vicenda all'altra ed un sottotesto a cui Hardy attinge da grande attore che sa lavorare da solo (come dimostrato anche in Bronson) con la sua presenza da palcoscenico nel dare vita ad un personaggio fra i più enigmatici, moralmente complessi e narrativamente coinvolgenti che si siano visti di recente, per fare dono a questo film di una spontanea tensione, capace di sostenerlo fino alla fine.

Ma quello che più è sorprendente è il risultato finale tenute in considerazione le limitazioni di uno script che prevedeva, come detto, l'impiego principale di un unico attore in camera e soprattutto quelle fisiche di uno spazio che rimane lo stesso per 90 minuti, proprio come a teatro. Se in Bronson quel palcoscenico era reale, qui si tratta del sedile di una BMW, ma il concetto è lo stesso.

Knight (che lo ha anche scritto) si avvale di tutta una serie di lunghe inquadrature fisse inframezzate solo da qualche scorcio visivo delle luci della strada intorno, primissimi piani claustrofobici e un movimento di macchina azzerato.
Come se fosse un invisibile passeggero di questo on-the-road movie che non ne ha per nulla i connotati, il regista gli punta la cinepresa in faccia e lo assilla come le telefonate che riceve, e che lui cerca di riportare alla calma della ragione.

In questo thriller urbano minimalista, ancora una volta notturno con l'oscurità ad avvolgere completamente il suo protagonista, proprio come a suggerire la simbiosi fra dentro e fuori, come a sostenere il suo contrasto interiore, il background che gli viene costruito è talmente riuscito, dopo una buona mezzoretta di preliminare caratterizzazione descrittiva (attraverso le parole scambiate al telefono) che, sebbene i dialoghi si facciano via via un po' più scialbi e la storia subisca un naturale inaridimento, il magnetismo non si esaurisce neanche per un minuto.

Una storia solitaria, di redenzione e di determinazione etica (non casuali i riferimenti alla filosofia razionale di John Locke, da cui prende il nome) che è emotivamente convincente, il cui storytelling saprebbe raccontare un trucco o due su come si mantiene la suspence e che, convenzionalità e mezzi di produzione a parte, non ha molto da invidiare a tante altre pellicole ingiustamente più famose.


Scena scelta











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