lunedì 17 novembre 2014

White bird in a blizzard


81 - White bird in a blizzard (novembre 2014)




Basato sull'omonimo romanzo di Laura Kasischke, White Bird in a Blizzard racconta la storia di Kat Connors, una ragazza la cui vita ordinario-familiare viene turbata dall'improvvisa e misteriosa scomparsa nel nulla della madre, oppressa e morbosamente oppressiva.

Araki scrive e dirige un film che è costruito tutto su superfici riflettenti e apparenze, che come al suo solito riprende le tematiche intimistiche e campy della gioventù post-adolescenziale della sua epoca, immergendole nelle atmosfere eteree e patinate in cui i suoi personaggi perdono se stessi un po' alla volta mentre tentano di venire a capo dell'intrico.

Il mistero è servito dalla perfetta attitudine di un'Eva Green bella quanto inquietante (tanto per cambiare) che assieme al sempre ottimo Christopher Meloni (Oz) dà credibilità ad un ritratto coniugale in lento disfacimento, sotto agli occhi della nichilista Kat, anche narratrice della storia.

Quest'ultima è interpretata da una sempre più convincente Shailene Woodley. L'attrice, che fa parte della stessa lega delle Jennifer Lawrence, ha ormai superato lo status di rivelazione per affermare prepotentemente il proprio indiscutibile talento che anche qui, come soprattutto nel recente The Fault in our stars, si palesa apertamente nel permetterle di compensare per larghi tratti ad un'architrave narrativa un po' vacillante.

Per gran parte del tempo, Araki sembra disinteressarsi degli eventi, distogliendo l'occhio dall'urgenza del misfatto che accoglie i primi minuti di pellicola; lo fa, in realtà, per addentrarsi più nel mondo della sua protagonista, di cui oltre allo spaccato familiare ci mostra tutte quelle influenze culturali appartenenti alla Generazione X che ricorrono nel suo cinema, fra onnipresenti walkmen, riferimenti all'omosessualità e alla sessualità esplicita, dialoghi spogliati di pudicizia e una ricercata colonna sonora severamente in debito con la new wave degli anni '80 a partire dai Cocteau Twins che monopolizzano le prime sequenze del film proprio come il suo chitarrista Robin Guthrie faceva dieci anni fa in Mysterious Skin.

La storia portante è così quella formativa e canonica che ricalca leggermente il suo ultimo film davvero riuscito (Mysterious Skin) pur senza possederne l'irriverente autenticità o la crudezza, ma ri-tracciando la grammatica dello spettro emotivo dei valori suburbani dei ragazzi con cui Araki era cresciuto.
Fra questi, i più evidenti sono sicuramente il pessimismo e l'incertezza del futuro, dietro alla traballante struttura familiare che non dà riferimenti ed una rottura con gli schemi tradizionali inculcati dalla società.

La peculiarità dell'opera del regista californiano, a prescindere che piaccia o meno, è quella di non perdere mai quell'invadente tocco formalista che lo contraddistingue e che, anche qui, finisce con il prendere il sopravvento su quasi ogni cosa, storia e attori compresi.
Anche se qui, va detto, siamo di fronte ad uno dei film meno trasgressivi e consapevolmente forzati della sua filmografia; ma le sue atmosfere rimangono la cosa più indimenticabile (o meno dimenticabile) e anche qui non tradisce le attese.

A tutto questo si aggiunge poi una trama snella, semplice e piuttosto lineare che si tinge di thriller dopo aver flirtato con il Melò in salsa surreale e che spiega se stessa dopo aver rimosso qualche velo di troppo anche da una cinepresa che riflette visivamente la sua personale prospettiva onirica e fantastica del cinema, dentro una sceneggiatura che si dimostra comunque non priva di frecce nella sua faretra.

Araki smarrisce un po' i ritmi narrativi, perdendosi un po' fra quelle stesse visionarie tormente in cui seppellisce le banalità di una superficie che ne nasconde altre al suo interno e del cui significato allegorico carica gli elementi in gioco, alternando la lucida fotografia delle scene quotidiane a quella più sfocata delle proiettive intromissioni del subconscio; si mostra un po' ondivago nel tenere insieme il suo film e non dà sempre la sensazione di sapere cosa vuole dirci.

Ma stordisce, affascina, incanta. Nel sottrarre ai suoi attori ne trova la solidità, anche grazie ad un cast particolarmente attraente.
Un'esasperante vaghezza di immagini sovrapposte che ci accompagna fino alla fine, e che si rivela dannatamente piacevole.


Scena scelta












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