domenica 4 marzo 2018

Lady Bird

134 - Lady Bird (febbraio 2018)





È la storia di Christine, o Lady Bird, del suo rapporto complicato con la madre che è all'origine di un desiderio di indipendenza che la spinge a fare domanda per i college della costa americana opposta a quella della cattolica Sacramento in cui vive e si sente ingabbiata, e quindi del suo bildungsroman che si consuma nell'arco di un anno in attesa di quel momento.

Greta Gerwig, dieci anni davanti la macchina da presa (nonostante la giovane età), fa il grande salto e dirige il suo primo film e fa subito il botto: il suo film, largamente celebrato dalla critica, è la naturale conseguenza di uno stile che si è andato rafforzando negli anni di collaborazioni nel circuito meno esposto del cinema indipendente (Baumbach, Mike Mills, Solondz...) che ne ha messo alla prova sia l'efficacia come commediografa che la sensibilità come autrice.

Se la sua Lady Bird - che non ha nulla di autobiografico, come si è affrettata a precisare nelle interviste - è quindi la somma delle esperienze di una normale adolescente la cui vita non è più particolare di tante altre, è però il taglio e l'incisività che l'autrice sa dargli a far funzionare un film il cui segreto non è comunque solo nella sceneggiatura e nella prova recitativa della sua protagonista, ma soprattutto nelle piccole cose.

La sceneggiatura, il punto forte del film, spaziando in quella gamma di sfumature che va da drama a comedy cui del resto si fanno risalire le origini della Gerwig, tocca un'infinità di temi essenziali: la crescita, il rapporto difficile figli-genitori, le amicizie vere e presunte, la sessualità, l'omosessualità, l'aborto, il razzismo, la depressione, la politica, la religione, i problemi socio-economici, l'emarginazione, ecc; ma più di quello che tocca è importante come lo fa: in generale, le qualità di regia e montaggio sono al servizio della vena più comedy, perché è qui che il film è più a suo agio, la Gerwig può sdrammatizzare facendo ricorso a quell'aria di eterna "crescita problematica" che, alle prese con i drammi più o meno grandi della vita come quella che racconta, presentano un'ironia o una satira spontanea, che si risolve da sola in punchline e scappatoie per situazioni disperate.
Qui l'essenziale lavoro "touch&run" fatto in fase di stesura paga i suoi frutti e l'intelligente scelta di giocare sulle giustapposizioni e sui salti temporali riempiendo di dialoghi il film hanno un effetto vincente e brillante.

Il film dà un'idea come di densità, di estrema sintesi; come se ci scivolasse da fra le mani. È vero che tutto sembra più significativo e che ogni breve scenetta aggiunge una pennellata al murales della giovane Lady Bird consegnandocela alla fine presumibilmente più matura, disillusa e cresciuta, ma il tutto così scandito, se da una parte incrementa il potenziale della scrittura quasi-nichilista e anticlimatica della Gerwig, dall'altra ha il vantaggio/svantaggio di lasciarsi pesare poco per quelli che sono i suoi contenuti, come se una piccola parte della regista volesse evitare i giudizi, o volesse evitare speculazioni. Come se fuggisse, di continuo.

Saoirse Ronan aggiunge un sottile, intelligente strato di teenage angst che non va mai sopra le righe (a conferma di come il film proceda secondo il doppio binario) e che vale da valvola di sfogo incastrandosi nell'insoddisfacente rapporto con la madre (l'ottima Laurie Metcalf) che si nutre di una vicendevole e naturalissima disapprovazione, ma che è evidentemente tenuto insieme da emozioni oneste che sono quelle che la Gerwig è attenta ad osservare.

In generale, in quest'irrequietezza che dà anima e corpo ad un film come se ne sono visti tanti altri (in termini di contenuti) e che è quella tipica di chi vede passare in un attimo uno dei periodi più memorabili della propria vita come il passaggio all'età adulta, si può dire che la più grande scommessa sia la visione della regista di farne un lavoro di collage, uno di quelli su cui l'occhio si posa attratto non tanto da questo o quell'altro ritaglio ma dal suo senso di insieme, dalle sensazioni che emana, dal grado con cui, soltanto guardandolo, riusciamo a farci un'idea di chi è la persona a cui appartiene.

La Gerwig ha scritto una bella storia e le è rimasta fedele sempre; allo stesso tempo, nonostante la sincerità drammatica prenda il sopravvento nelle scene più evocative del film, il suo tocco è sempre commisurato a quello che racconta, impedendosi di deragliare, sempre in perfetto equilibrio sia nel ritmo che nel mix dei toni, e lo spirito di fondo che sa trovare la verità anche nei contesti meno verosimili non fa che risplendere un piccolo (per budget) ottimo film che esce da una scuola che quest'anno ha particolarmente brillato per originalità.


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