lunedì 18 febbraio 2019

Black Panther

135 - Black Panther (febbraio 2019)





In un ipotetico universo parallelo, il regno di Wakanda (fittizia nazione africana) prospera, florido, nascosto alla vista del resto del mondo, dopo aver sviluppato una civiltà altamente progredita grazie all'impiego strategico del preziosissimo Vibranium. La sfida di T'Challa, erede al trono dopo la morte del padre, è di tenere unito il suo popolo di fronte alla crisi di potere interna e alle minacce esterne, mentre si fa impellente la responsabilità etica contro la povertà che attanaglia la popolazione della terra.

Da un incipit dalle tinte propriamente shakespeariane, e di conseguenza politiche, a decollare è un film sostenuto da un ottimo ritmo, cadenzato dall'intermezzo di personaggi inquadrati che si fanno largo con immediatezza fra i toni accesi di un film che è al suo interno molte cose e forse per questo riesce a non annoiare o ad impantanarsi in uno specifico sentiero come spesso accade ai "cugini" Marvel, carichi di troppe premesse.

Il film, infatti, pur facendosi catalogare nel genere di intrattenimento affonda ovvie radici nella contemporaneità di un pianeta diviso e attraversato da profonde ineguaglianze, ed offre numerosi intertesti al suo interno che fungono da portali per esplorare in chiave critica e sociologica quella battaglia contro l'oppressione che ha preso e continua a prendere molte forme anche nell'attualità — qui riassunta nella dicotomia ideologica intessuta nella storia afroamericana contro la schiavitù fra morale pacifista e guerra armata — di cui del resto il titolo-simbolo del film è fresco memento.

Coogler (che dopo Fruitvale Station e Creed ritrova Michael B. Jordan) mette insieme un buon film, corale nelle interpretazioni di un egregio cast, ben dosato negli effetti che sanno sorprendere anche senza pigiare il tasto sull'acceleratore, mantenendo saldo il timone dello sviluppo della storia; peraltro il film, spaziando dalla fantascienza all'action supereroistico, dalla satira di costume alla spy story, dal melodramma esistenziale fino all'apologo in chiave critica e sociologica, si presenta come una commistione di generi che sembrano in grado di soddisfare un'ampia fetta di pubblico e di palati, non mancando l'appuntamento con un finale inevitabile che si maschera di un virtuosismo umanistico diretto a sigillare il meccanismo praticamente inappuntabile (forse troppo) della meccanica narrativa.

A svettare, ben più della gradevole ma non più di tanto originale sceneggiatura (con tanto di messaggio ecumenicamente ineccepibile), è certamente la grande immaginazione che rifornisce la grande fabbrica degli scenari scenografici, dei costumi e del trucco capaci di disegnare ex-novo una cultura immaginaria con vivido realismo, del grande fascino fonetico del linguaggio che fonda un mondo a parte, permettendoci di cullare quell'astrazione che è, a tratti, così dettagliata e simile alla concretezza della nostra realtà, da diventare verosimile. Un'opera di fantasia costruttiva che certamente paga dividendi a livello di atmosfere, e quindi, di coinvolgimento.

La sua sfortuna resta il debito da pagare nei confronti di una serie-madre di cui esso è solo un capitolo (come i titoli finali ci rammentano); quando, invece, è la sua unicità a farlo risaltare nei suoi momenti migliori. E allora, senza rancore, occorre semplicemente riaprire gli occhi e concludere che si tratta solo di un altro film di intrattenimento, che avrebbe le armi per dire qualcosa di diverso, ma che, in fondo, non è del tutto libero di farlo.

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