giovedì 23 febbraio 2012

The Help, un affresco storico e sociale


44 - The Help (febbraio 2012)



Jackson, Mississippi, anni '60.
Aibileen Clark, aiutante domestica, viene intervistata per conto di "Skeeter" Phelan, aspirante giornalista-romanziera che in attesa di scrivere qualcosa di significativo si è procurata un lavoro di poco conto nel giornale della ridente cittadina. Nera la prima, bianca la seconda.
Il film si apre così, già tracciando e proiettando su di sé con questo simbolismo quella che sarà la ricorrente tematica della distanza e di quella barriera invisibile fra le razze, in uno degli Stati del profondo sud d'America più conservatori ed ostili all'accettazione dell'uguaglianza etnica.

Il paese intero è come assopito, asservito ad un codice di regole non scritte che fa capo al costume imposto tempo prima dai bianchi e ricchi coloni, perpetrato per molti anni e praticato ormai per osmosi.
Nella ricostruzione storica, si evidenziano in rassegna i grandi accadimenti che segnarono la lotta per i diritti civili, da Medgar Evers (un ragazzo proprio del Mississippi) a JFK e Marthin Luther King; ma è un sottofondo silenzioso, perché la t.v., i giornali, e in generale quello che accade nel mondo non sembra reale, non lo è perché il rigorismo estremista su cui è fondato l'interesse a mantenere lo status quo poggia su antiche e robuste radici.

In un regime fondato sull'odio, sulla paura, sulla legalizzazione della prevaricazione, è proprio la resistenza alla rassegnazione a porre le premesse per un cambiamento, che certamente non può essere materiale, concreto, ma in "The Help", libro che verrà scritto da Skeeter con l'intenzione di raccogliere le testimonianze di tutte le domestiche della città, si scorgeranno le prime parvenze di un risveglio delle coscienze teso ad ottenere la restituzione di quella dignità negata.
E se l'inganno e la mistificazione sono le armi più efficaci per mantenere il divario con la servitù, allora sarà solo attraverso la ricalcatura e la parificazione anche in questo aspetto, che sarà possibile smuovere le cose.

In questo film tutto al femminile, nel quale le figure maschili compaiono solo per ricordarci che sono le donne le assolute protagoniste, sia che tengano le redini del matrimonio sfornando bambini e assumendo aiutanti, sia che siano in prima linea contro la disuguaglianza e la discriminazione qualunque sia il colore della loro pelle, spicca anche una bella caratterizzazione della comunità, nella quale sono, giocoforza, i ceti della scala sociale ad essere al centro delle dinamiche più coinvolgenti.
E se sono i titoli, i possedimenti, le appartenenze e le apparenze ad innescare il circolo vizioso nel quale si radica l'ipocrisia di una società che prende come garantiti determinati valori, sono poi, invece, gli affetti e le cure delle derelitte aiutanti ad insegnare il contrario.

E' questa matassa fatta di sentimenti contrastanti, di credenze che si contraddicono, di un'illogicità morbosa e tollerata a fare presa, a prescindere dalla reale capacità di capirlo e di combatterlo, proprio come naturale è la codardia e commendevole il coraggio.
Solo quando il secondo si ribella al primo, solo quando si capisce che si ha tutto da perdere ma anche tutto da guadagnare, il passaggio viene completato.

Sarà Skeeter ad iniziare questa "crociata", anche se non pienamente consapevole, perché fisiologicamente incapace di comprendere l'altrui mondo, e viceversa.
Si avvertirà sempre la deferenza dei neri nei confronti dei bianchi, e simmetricamente se non il sussiego, perlomeno l'incapacità di vestire pienamente i panni dell'altro da parte dei bianchi; solamente l'estraneità dal contesto modificherà questa prospettiva: in Miss Stein, che tenterà di sfruttare il momento storico per averne un ritorno editoriale, o in Miss Foote, chiaramente un pesce fuor d'acqua.
E ovviamente nella stessa Skeeter, corteggiata dal "gruppo" per via della sua discendenza privilegiata, ma restia ad abbracciarne la forma mentis.

Film sincero e accorato, ennesimo manifesto dell'antirazzismo, trasposto dal romanzo omonimo di Kathryn Stockett (sceneggiatura non originale). Una storia a tratti vibrante, di per sé drammatica perché evocativa di un periodo buio, ricreato ad arte con sapienza.
I sentimenti messi in gioco sono autentici, come lo è la prova delle sue attrici, su tutte l'eccezionale Viola Davis (destinata all'Oscar), ma anche la validissima Emma Stone e la non protagonista Octavia Spencer.
Impegnato, e già di per sé quindi rimarchevole, anche se nel suo genere si potrebbe definire un po' "infallibile", The Help è una continua provocazione nella sua graffiante messa alla berlina della superficialità e della mediocrità dell'etichetta, con la messinscena realistica e allo stesso tempo così fuori dal mondo atta a ribadire l'assurdità di certe situazioni viste con gli occhi di oggi; ma c'è anche un chiaro messaggio di speranza, che è conciliabile con l'adagio "il tempo è sempre galantuomo", e che risiede nella maturità delle coscienze dei posteri. Il tramite è qui la carta stampata, ricettacolo di segreti inconfessabili e simbolo di riscatto, conclusione ne è l'avallarsi di una morale forse non facile con cui interagire, ma fruttuosa.

Elegante, preciso, commovente, The Help trova nella storia e quindi nella sua componente più viscerale la sua più grande attrattiva, anche se non è da disdegnare certamente il lavoro sul piano scenico.
Ma è nell'incisività del racconto e dei suoi personaggi, così umani e quindi facilmente suscettibili di empatia, che lascia il segno; si può convenire che il suo punto forte sia indubbiamente la recitazione.
Difficile che l'Academy lo lasci a mani vuote. E se per film e regia i giochi sembrano già fatti, sarebbe il caso che alcune delle attrici di questo film venissero premiate.
Perché, francamente, senza di loro, parleremmo di altro.


Scena scelta








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