domenica 19 febbraio 2012

Midnight in Paris, brilla di luce propria


40 - Midnight in Paris (febbraio 2012)



Le strade parigine sfilano in apertura di film sotto le musiche evocative di Sidney Bechet, jazzista americano in attività negli anni '20, l'età dell'oro per Gil (Owen Wilson, qui in versione Alleniana, cosa che gli riesce niente male), scribacchino a comando delle major hollywoodiane ma al contempo aspirante romanziere in cerca di una risposta alla domanda delle domande, nella vacuità dell'esistenza che conduce.
Un nostalgico smarrito nel caos e nella frenesia della modernità.

Il contrasto fra gli ansiogeni Stati Uniti, terra di conquista del capitalismo e simbolo eterno della fatuità e la Francia, che si presta al ruolo di purificatrice delle anime in pena, inadatte a conformarsi ai precetti del loro tempo, si rispecchia nel divario fra Gil e Inez, tanto netto quanto superficiale è la considerazione che l'uno ha dell'altra.

Lui, che si ispira a Fitzgerald ed Hemingway, che trova sollievo nelle lunghe passeggiate notturne lungo la Senna e sogna di essere bagnato dalla pioggia, attirato dalle vecchie musiche di Cole Porter e dai richiami di un passato (forse) irraggiungibile e sfocato nella sua visione del tutto idealizzata e distorta di un'epoca che possiede tutte le attrattive che il presente non ha; lei, diretta emanazione di un padre duro e puro, yankee d.o.c., dalle idee politiche estremiste, condotto e trattenuto a Parigi solo dai suoi affari e di una madre snob da cui percepisce ed impara a misurare il valore delle cose della vita dal loro prezzo.
Mentre lei viene irretita dalla favella ipnotica di un intellettualoide superbo e pomposo, per Gil si aprono le porte del passato, esattamente a mezzanotte, come in un episodio di "Ai confini della realtà": vedrà esattamente ciò che desidera vedere, verrà a contatto con gli artisti e gli intellettuali di cui sa tutto, vivrà al centro delle sue stesse fantasie, coltivando un'illusione che scoprirà essere comune a tutti gli artisti quanto umane sono la curiosità e la nostalgia e quanto desiderabile è la prospettiva di conoscere se stessi al di fuori di un presente nel quale ci si sente fuori posto, cullati dall'irrealtà di un posto più familiare ed ospitale.

Allen ricaccia in questa sua ennesima gemma tutta quella magnifica ironia che gli conosciamo bene, condita però da una punta di serafico distacco, rimescolando gli ingredienti classici dei suoi film: l'emarginazione sociale, l'incomprensione, l'idea repellente della realtà nevrotica e ossessivamente ripetitiva (perfettamente sintetizzata dal pragmatismo esasperato e dallo sfarzo fine a se stesso), che allontana l'uomo dai suoi impulsi naturali e dall'indagine personale cui ognuno di noi sarebbe destinato, ma allo stesso tempo mette in guardia lo spettatore che troppo in fretta si fosse immedesimato nella fantasticheria del protagonista, Gil, e lo fa proprio attraverso le parole di quest'ultimo: il presente è sempre meno soddisfacente del passato, perché è la vita stessa ad essere insoddisfacente; ma sono le scelte, quelle vere, pur se prese su presupposti illusori a rendere meritevole di essere vissuta la vita.

Sono le divagazioni, le distrazioni e le fughe da ciò che è reale a far capire a Gil quanto siano importanti virtù come il coraggio e la fiducia in ciò che si ricerca in quanto artisti, ma è solo attraverso il più intricato labirinto rappresentato dalla realtà e dalle innumerevoli vie che vi si intersecano che gli sarà davvero possibile cambiare ciò che non lo appaga, cominciare ad essere sincero con se stesso.

Il tutto con in sottofondo Parigi, che diventa la protagonista assoluta (come New York lo era stata per "Manhattan") con le sue stravaganze, i suoi ricordi e le impronte della sua gente sul povero turista americano. Ci sono, forti, le usuali note jazz cui Allen è da sempre affezionato e, ancora una volta, Allen lascia aperta una porta al surreale e al fantastico, dopo "Scoop" e "Harry a pezzi".
Belle e interessanti le ricostruzioni storiche, i personaggi variegati della società parigina sono volutamente caricature, tratteggiate a bella posta per soddisfare il subconscio di Gil, ed è attraverso di essi che lui comprende ciò che non sapeva di volere.

Ottimo cast (ovviamente), e numerose le star (su tutte K. Bates, M. Cotillard, A. Brody) che si sono gettate a capofitto al servizio del lavoro di un Maestro, che più invecchia e più migliora. Certo, col tempo diventa meno esplosivo e meno profano, ma ne guadagnano l'armonia e l'espressività.

Nominations, scontate, per film, regia, sceneggiatura originale e scenografia, per Midnight in Paris c'è stata anche la (piccola) soddisfazione di essere stato anche il film più prolifico di Allen ai botteghini italiani.
Se non altro, non è mai troppo tardi per imparare...


Scena scelta








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