domenica 22 febbraio 2015

Selma


95 - Selma (febbraio 2015)




La ricostruzione dei fatti di Selma, Alabama e della lotta sociale di Martin Luther King e del suo notorio movimento pacifista che sfociò nel periodo di massimo impegno a favore dei diritti civili degli Afroamericani, sforzo ripagato alla fine dall'approvazione del Civil Rights Act da parte dell'allora Presidente in carica Lyndon Johnson.

In questa pedissequa riproposizione dei soprusi a sfondo razziale e di tutti i quasi insuperabili ostacoli che si presentarono su un cammino diretto, ostinato, pienamente maturo attraverso la violenza, l'oppressione e la morte marchiato e guidato però dai principi della Non-Violenza e di una passività in realtà considerata attiva, c'è l'ennesimo sfoggio di un passato, quello americano, che tenta di conservarsi nella memoria, bisognoso di un'auto-assoluzione e di elaborare una vergogna sociale disegnata dall'assurdità (come riconoscere legalmente il diritto al voto e poi negarlo nei fatti; come essere sorretti da un sistema che permette al suo uomo più potente di essere ricattabile e politicamente troppo debole per farlo rispettare) con l'ennesimo ricordo di un trionfo di giustizia, di una storia scritta nel modo corretto.

Sul Martin Luther King uomo, peccatore, delle sue faccende personali e famigliari c'è poco, la DuVernay usa uno stile molto proprio, tutto a ricercare la sofferenza, la serenità nella preoccupazione, la disarmonia nell'uguaglianza e il suo primo ed ultimo riferimento è lo stesso di quelle persone che ritrae, l'eroe del suo film, della sua causa; ma prendendo il suo film, di lui non sappiamo che quel che è storicamente noto, seppur in oltre due ore di un film dall'incedere posato, severamente calmo e graduale, non le fosse certamente mancata l'occasione, e solo la prova di Oyelowo riesce a penetrare un po' oltre, ad accendere una fiamma di angoscia sul dubbio, sulle profondità della sua anima.

Trasforma i suoi personaggi in persone in carne ed ossa, rivangando aneddoti, scavando nel passato personale, attingendo al comune sottofondo emotivo che è funzionale all'illustrazione del martirio; stiamo parlando di svariate migliaia di persone, ma la sensibilità della regista è tale che sembra di conoscerli uno ad uno e il suo King brilla per riflesso della loro stessa umanità, ma ancora non basta: potrebbe esserci di più, e nonostante il tocco delicato della sua autrice, è proprio quello che manca a far perdere al suo film l'opportunità di raccontarsi in modo originale, magari più organico e meno agiografico nei tratti narrativi.

Dove invece il risultato è potente è nell'estrema efficacia drammatica delle sequenze cardine, quelle tanto attese perché simboliche di una storiografia che ce le ha mostrate per decenni, che sono entrate nella nostra mente per non uscirne più e che con Selma, consapevolmente, con molto rispetto e attenzione, faticheranno ulteriormente a farlo.




Scena scelta











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