venerdì 20 febbraio 2015

Whiplash


92 - Whiplash (febbraio 2015)




Andrew Neiman e il suo sogno: diventare uno dei migliori batteristi Jazz della sua generazione, fra l'alone della leggenda di Charlie Parker e un insegnante dai modi discutibili.

Sarebbe molto semplice definire in poche righe la trama di questo assolutamente straordinario film a basso budget (e a basso incasso), non è invece stata altrettanto semplice la sua gestazione da parte di Chazelle, tenace nell'aver trovato l'equilibrio perfetto per un film che per emergere ha dovuto sgomitare fra la concorrenza (ricorda qualcosa?) e guadagnarsi nel sottobosco indipendente la fiducia che ha dimostrato di essersi meritato, dopo essere stato presentato come cortometraggio al Sundance nel 2013 ed essere stato girato in apnea finanziaria.

Chazelle scrive e dirige un film in cui è coinvolto in prima persona ben oltre il semplice fatto che ne sia il padre; nella sua opera c'è tutto: grandi performances, una tensione narrativa coltivata magistralmente e portata all'esplosione in un crescendo virtuoso assoluto, l'evoluzione centrale di una storia che non è molto di più di una delle tante storie dell'Uomo che vuole superare se stesso (e quindi gli altri) ma che nondimeno sa riservare sorprese e colpi bassi fino all'ultimo.
Chazelle, che è stato un batterista e ha vissuto un'esperienza personale simile, a cui è ispirata in parte la pellicola, sa esattamente in che modo vuole raccontarla, muove i fili di una sceneggiatura solida, dannatamente ben giocata che concede molto poco a tutto quello che non è la batteria, il whiplash o il Jazz in generale ma che sa volare molto più alto di così e sa raccogliere ottime risposte anche dai personaggi secondari nonostante l'esiguo minutaggio loro concesso; che è pervasa sottilmente da un nero senso dell'umorismo, persino un remoto grido di inesorabile giustizia, in cui i personaggi ricevono un tratteggio accurato, realistico, capace anche di resistere agli artifici imposti dalle logiche di fiction.

E a ben guardare, la ricetta che Chazelle trova per la sua regia sta proprio in quell'esasperazione che non l'abbandona mai, né ovviamente nell'aggressività dei ritmi - ricalcata dalla tirannia dei metodi di Fletcher - quasi come fosse lo stesso whiplash a dettarne il metro, né in quel più esteso senso di insoddisfazione che lo riveste.

Whiplash è ancora un film su un allievo e un maestro (sebbene portato all'eccesso paradigmatico), che sottintende un ensemble, mentre le nostre orecchie lo percepiscono, ma non riesce in realtà a staccare la macchina da presa, e quindi il nostro occhio, dall'assolo dei suoi due protagonisti, che descrivono con rara intensità una danza all'ultimo sangue (letteralmente), innescando un rapporto morboso, affascinante, sempre in bilico fra il creativo e il distruttivo, un circolo vizioso che i due alimentano con il combustibile di una velata reciproca ammirazione e che trova sfogo in una sfida perfettamente scandita nei ruoli, mentre la prospettiva stessa si muove a sua volta, recuperando lo scontro fra passato e futuro, fallimento e successo (con la piccola considerazione che nell'idea di successo di questo film essere grandissimi musicisti può non bastare); come se all'improvviso calasse il buio nella stanza e un unico riflettore rimanesse puntato solo su di loro.

In questo, oltre al capitale ed impagabile contributo di un Simmons esagaratamente cattivo, terrificante, di riferimento, c'è da riconoscere come impressionante anche il lavoro di Miles Teller (qui alla sua decisa interpretazione di una vita) su una batteria che già conosceva ma che ha dovuto imparare a conoscere meglio; se Simmons gli offre i ritmi recitativi, lui lo ripaga con quelli musicali e il loro affiatamento è tale che ci convincono per davvero di quello che sta succedendo, sono entusiasmanti e sono credibili fino in fondo. Il film non pecca di qualche appannamento e qualche deviazione imprevista, ma regge l'urto di una premessa forte con un finale ancora più forte, catartico, addirittura purificatorio.

Da una parte l'uomo e i suoi limiti, la soggezione di fronte alla Storia, lo smarrimento nel proprio senso personale della musica e quindi l'ambizione, la competizione, il sacrificio, l'esercizio di un'ideale di perfezione cifrato in un linguaggio musicale (a differenza di altri, forse anche meno comprensibili, portati ad esempio da film di quest'anno) che non riesce, parimenti a tutti gli altri, a sottrarsi alle logiche degli istinti più bassi, più "umani" che ci governano.

Perché Whiplash non è solo un film su quanto ostinata e solitaria sia la strada che porta dritta al successo immemore, ma è soprattutto il racconto frustrato, schietto, fuori dai denti, di un'idea intrasmissibile fintanto che non viene raggiunta la consapevolezza di un limite e che cosa sia questo limite, o se la sua desiderabilità sia più o meno forte del risultato finale, lo può stabilire soltanto la misura della nostra grandezza.



Scena scelta













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