giovedì 19 febbraio 2015

The Theory of Everything


91 - The Theory of Everything (febbraio 2015)




Sono i primi anni '60 a Cambridge quando un giovane Stephen Hawking, fresco di studi accademici e alla ricerca ambiziosa della nota teoria unificante, conosce Jane Wilde. La loro è una storia nata nel caos e destinata a sopravvivergli per qualche motivo irrazionale, nonostante lo spietato declino che la degenerativa malattia dello scienziato gli impone.

La sua ascesa intellettuale, nonché la vita sentimentale sono così messe duramente alla prova da un calvario fisico pressoché interminabile; il film è elegante nel raccontare l'odissea di un uomo, ma nello specifico di un matrimonio, che è attraversato da una varietà di ostacoli e sa trovare in ognuno di essi la chiave per formulare risposte a domande che non necessariamente ne prevedono una.

Un film che per metafore parla dell'eroismo quotidiano degli esseri umani più tenaci, che sfidano l'impossibile e l'ignoto e sanno ricavarne un significato; a corroborarne l'intenzione, un manipolo di interpretazioni forti e decise quanto determinati sono lo S. Hawking di un magistrale ed impressionante Redmayne ma, non meno importante, anche della Jane di Felicity Jones (la cui prospettiva del resto è centrale, visto che si tratta della trasposizione del suo Travelling to Infinity: My Life With Stephen) che con questo ritratto così profondamente riuscito della donna, moglie, madre forte e fedele che resiste alla passione pur di affrontare il proprio senso di responsabilità arriva quasi al punto di adombrare quello che le sta intorno, permettendo al necessariamente più limitato Redmayne di colorare ancora di più il tono della sua interpretazione.

Con una fascinosa parabola, permeato da una scrittura molto open-hearted in cui la stessa suggestione dell'infinito che ci accoglie custodisce dentro di sé anche il segreto dei legami più intimi e duraturi arrivando a tracciare i particolari connotati di una storia unica, sorprendente, quasi incredibile ma (pur al netto delle concessioni drammatiche) autentica, non tanto nella pedissequa riproposizione biografica, quanto nella possibilità di rispecchiare un messaggio condiviso, che ha per oggetto quella virtù molto più rara (e forse preziosa) del genio: il coraggio.

Tutto dell'Hawking di Redmayne, aiutato da una regia sicuramente valevole fatta molto di simbolismi e aggraziata nelle sue, inevitabili, forzature, con quel suo senso dell'umorismo anomalo, quella testardaggine e quell'impressionante studio sul personaggio rende onore e, cosa ancora più importante, trasmette la vita ad un personaggio tanto vero che si può toccare, che mentre perde per strada un pezzo di sé alla volta è in grado di restituirlo in umanità dieci volte più forte.

Il film di Marsh parla un linguaggio un po' stereotipato, è vero, non ultimo nel canovaccio di una sceneggiatura che regge tutto sommato bene nonostante non sia propriamente eccezionale, ma lo esprime in modo perfetto, circondandolo di un'atmosfera romantica cui partecipano le musiche della colonna sonora di Jóhann Jóhannsson e la fotografia dal forte viraggio cromatico di Delhomme, finendo per sintetizzare il fine ultimo cui tende, quel tutto con cui si rinconcilia in un tempo riavvolto all'indietro, in un dialogo confidenziale e caloroso capace di sorvolare sulle nostre distanze per rimarcare invece ciò che ci accomuna: siamo in fondo tutti minuscoli, bisognosi, esseri umani.

E allo stesso tempo siamo capaci di qualcosa di cui nemmeno noi siamo consapevoli.


Scena scelta












Nessun commento:

Posta un commento