lunedì 18 febbraio 2019

Bohemian Rhapsody

136 - Bohemian Rhapsody (febbraio 2019)





Arrivato su grande e piccolo schermo dopo un battage pubblicitario di certa rilevanza, e dopo le numerose vittorie riportate ai Golden Globes che lo hanno proiettato ad immediato fenomeno di costume, la storia dei Queen e, soprattutto, del suo leader e cantante Freddie Mercury viene qui raccontata per la prima volta in un biopic dalle mille difficoltà (non ultimo l'abbandono dal set, diventato complicato da gestire, del suo regista B. Synger che compare comunque accreditato nonostante abbia di fatto lasciato il timone a progetto in corso) che si lascerà ricordare probabilmente come un'operazione nostalgia più che per i meriti artistici in sé.

Perché fra le tante cose che appaiono troppo letterali o stereotipate per non essere in qualche modo sbiadite, ricopiate senza nessun valore aggiunto, Bohemian Rhapsody manca di far fede al senso stesso del film di cui ricava il suo titolo: né la sperimentalità, né la versatilità di ciò che racconta lo caratterizzano; sono pochi i momenti di compiuto umorismo, non adeguatamente potenti quelli drammatici, e c'è un calco eccessivo su alcune scelte che tolgono alla verità per concedere qualcosa alla vuota spettacolarizzazione o, peggio, alla cinica manipolazione degli eventi.

Si tratta di un film che colleziona fatti (o presunti tali, anche qui la precisione narrativa non è fra i suoi punti forti) e vicende per arrivare a raccontare l'evoluzione di un uomo, di un progetto (con enfasi individualistica poi che forse è un po' irrispettosa per gli altri, grandi, musicisti che quella band l'hanno in fondo portata al successo insieme) ma lo fa senza veramente soffermarsi sul significato di quello che dice, come per dar forma esteriore a qualcosa che non ci si è davvero sforzati di capire. La scarsa caratterizzazione, l'impegno a dir poco approssimativo della recitazione, la mancanza di un vero collante emotivo... emergono decisamente da una storia che avrebbe molto per sorprendere e presentare nuove luci e nuove ombre, ma che sa diventare autentico solo quando la musica (e quindi un riflesso, il cui merito va dato ad altri) prende il sopravvento.

Il problema principale di questo film, o forse di questo genere di film, è che rendono tutto troppo esplicito, fino al didascalico, mentre la brillantezza, il genio... stanno nelle sfumature, nell'ambiguità, nel non detto; soprattutto perché a volte la musica e le immagini dicono più di mille parole ed è fallimentare che proprio un film non lo capisca. Sono i tempi del marketing e del "prodotto", evidentemente.

Quanto alla performance di Malek (decisamente la cosa più applaudita del film)... a parte una (vaga) somiglianza e l'indubbio lavoro dell'attore sulla fisicità e gestualità di Mercury, non sembra esserci apparentemente attore più distante, caratterialmente parlando, dal protagonista rappresentato... né il carisma, né l'eccentricità o l'energia esplosiva di Mercury fanno parte del dna e della prestazione di Malek, che appare sempre, in qualche modo, frenata, come in sordina. Fuori parte.

È di solito interessante, dopo aver assistito ad un racconto biografico, cogliere quella netta sensazione che ti fa capire di conoscere meglio la persona rappresentata, di aver corretto una versione piuttosto che l'altra con una più accurata, temperata da un'umanità più vicina alla sensazione di chi quella persona l'ha conosciuta davvero. Ma qui, onestamente, c'è troppa immagine, troppo mito, e troppa poca sostanza per poter dire questo. Chi conosceva già molto bene Mercury non troverà in questo film qualcosa che valga la pena di una visione, mentre chi non lo conosceva continuerà a non conoscerlo. Poco male: la sua musica, quella sì, resterà immortale. Ed è l'unica cosa che si salva del film.


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