sabato 23 febbraio 2019

Green Book

140 - Green Book (febbraio 2019)





Il "Libro Verde" era la guida rivolta alle persone di colore afroamericane pubblicata, testualmente "per dare al viaggiatore nero informazioni che gli impediscano di incorrere in difficoltà, imbarazzi e rendere il suo viaggio più piacevole".

Tony "Lip" è il buttafuori di un locale di New York nei primi anni '60, quando si trova all'improvviso senza lavoro. Italo-americano, poco istruito, sempre nella condizione di dover sbarcare il lunario e quindi dedito a giri loschi, finisce per ottenere un lavoro da chauffeur che lo porterà in un viaggio on-the-road per gli stati del sud degli Stati Uniti lungo le tappe concordate con la casa discografica che attendono Don Shirley, un pianista afroamericano di enorme talento che si esibisce per i ricchi bianchi dei circoli d'elite, estremamente colto e raffinato ma anche estremamente solo.

Se la commedia insegna qualcosa è che il contrasto insito in questa premessa è già ingrediente sufficiente ad essere modellato, specie nelle mani di chi il genere lo frequenta con profitto ormai da molti anni come Peter Farrelly. Farrelly che si è distinto in passato più per i suoi contributi al sottogenere demenziale, non lesina nemmeno qui troppo sulla volgarità di personaggi e situazioni, ma in questa occasione - oltre a trovare l'assistenza fondamentale di Mortensen - volge la cosa a suo favore mentre tenta di raccontare una delle storie di integrazione più riuscite negli ultimi tempi che è al contempo un racconto formativo che narra di come si possa trarre arricchimento personale da un'amicizia improbabile.

L'ignoranza genuina ed inconsapevole di Tony "Lip" (che ha guadagnato il soprannome proprio per il fatto di essere considerato un "bullshitter", un contaballe) è in fondo qualcosa che strappa molte risate mentre allo stesso tempo ci insegna qualcosa di vero, e di più profondo di quanto non sia contenuto a volte in un libro. Tony è un personaggio adamantino e leale sia ai suoi princìpi che alle persone che gli stanno attorno. La sua (a volte si direbbe ingiustificata) autostima è qualcosa che Shirley non potrebbe mai permettersi lontano da un pianoforte, costretto all'emarginazione da una circostante mentalità retrograda apparentemente non troppo distante da quella di Tony. Tony, nella sua limitata visione del mondo e della vita (se vuoi qualcosa, prenditelo; se non ti mostrano rispetto a parole, esigilo con l'azione) impara a conoscere un mondo che pian piano lo sgrezza e lo addolcisce nei confronti di qualcosa che aveva sempre guardato con sospetto bonario e con pregiudizio - e qui sta la morale edificante di un film che rinuncia un po' troppo facilmente e comodamente alle pastoie del dramma facendosi prendere la mano dai contorni irrealistici della favoletta secondo cui qualche volta un razzista è solo una persona molto ingenua che ha solo bisogno di aprire gli occhi: può essere questo il caso, ma pensare che decenni di imprinting culturale possano essere spazzati via da qualche battuta e due mesi di viaggio è un po' forzato.

Di certo il film mostra il meglio di sé quando si trova proprio nel mezzo del tourbillon di botta-risposta dei due protagonisti: si offrono l'uno all'altro, si mettono a nudo nel più tipico dei cliché di genere finché non guadagnano l'altrui rispetto, ed accettano i propri limiti nel momento in cui mettono a confronto le proprie esperienze. La bontà del film di Farrelly sta nella verve e nel montaggio ottimo che scandisce tutti questi momenti, impreziosendolo un po' per volta con un taglio da dramedy che non risparmia né risate né riflessioni, ma è erroneo pensare a questo film solo come a un film sul razzismo.

Le performance di Ali e Mortensen sono straordinarie nel rendere questo film soprattutto un film di attori e di interpretazioni, in cui lo sviluppo del personaggi e dei loro rapporti decreta anche l'evoluzione del film. Se si trascendesse dal contesto però, e se solo si immaginasse per un momento di attualizzare la scena ai giorni nostri, si potrebbero scoprire cose interessanti; si aprirebbero allora nuove considerazioni su come un dialogo attento e la disponibilità a mettersi nei panni degli altri possa talvolta fare tutta la differenza che vogliamo vedere nel mondo, e su come spesso siano proprio le situazioni da cui ci nascondiamo, una volta affrontate, a determinare veramente le nostre certezze identitarie, e di come dietro a un mistero ci sia sempre una storia interessante da raccontare.

Questa, interessante, lo è davvero. Merito a chi ci ha lavorato per permetterle di arrivare fino a noi.


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