domenica 24 febbraio 2019

The Favourite

142 - The Favourite (febbraio 2019)





'700, mentre Inghilterra e Francia sono impegnate sul fronte di guerra, la corte è retta dalla Regina Anna (Olivia Colman), eccentrica donna all'ombra della quale si nasconde Lady Marborough (Rachel Weisz), moglie del comandante delle armate britanniche ed effettiva decision-maker e favorita della Regina, se non che la serva Abigail (Emma Stone) comincia a farsi largo subdolamente per prendere il suo posto.

Film in costume per Lanthimos, che palesemente influenzato (come molti della sua generazione) dalle atmosfere di Barry Lyndon, realizza il suo film esclusivamente con luce naturale, impiega grandangoli potentissimi, inscena faide e ripicche clandestine, e un po' facendo il verso alle bizzarrie e agli intrighi di corte del genere, sovverte con il suo solito tono bislacco i normali cliché.

La sua fotografia è, al pari della sua regia, metodica, millimetrica, avanguardistica. Si ha sempre la sensazione che una sua inquadratura, per quanto ipoteticamente già vista, sia la prima volta che la vediamo; accompagna così le storture psicologiche dei suoi personaggi con angolazioni estreme, presi nel mezzo di una sceneggiatura caotica, evanescente, talmente fine a se stessa da suonare quasi come un lamento dandy.

Il trio delle interpreti principali (tutte e tre nominate agli oscar di quest'anno) è corresponsabile di una prova maiuscola, è a loro che si deve la parziale riuscita del film, o perlomeno del suo lato di intrattenimento, fin dove arriva lo sguardo meno critico e più avido di lussuria, di gioco perverso; ma poi serve ricordarsi che una visione così tenebrosa e monotematica della vita, puntualmente cucita nello stile di Lanthimos in ogni dannato film, a volte stanca. Come stanca la solita storia di scorrettezze, soprusi, facezie che non spiegano né arricchiscono il compatto ordito, parti narrative del tutto ridondanti. A che serve tanto stile, tanta precisione (da ricordare, oltre alla fotografia e alla deformante regia che dà un taglio ben preciso, anche la cura di costumi, trucco, scenografie), a che serve una simile dotazione di talento da sfruttare davanti alla macchina da presa, se poi non si sa fare altro che raccontare banalità?

Nella migliore delle ipotesi, Lanthimos è un "pazzo" (in senso buono e positivo) che segue ciecamente il suo istinto, ovunque lo porti, senza alcuna mediazione che gli permetta di incanalarlo verso un discorso concreto; nella peggiore, è un manierista che sa bene a quali grandi autori (come d'autore è il suo cinema) ispirarsi per fare presa facile e concludere il suo obiettivo. Si può dire che la sua longevità nel comparto indipendente, che tanto margine per la sperimentazione gli sta consentendo in questi anni, ha un chiaro senso alla luce del fatto che registi coraggiosi e cinici come lui, restii ai compromessi, in ambito mainstream, durerebbero assai meno, ma è anche vero che il suo acclamato genio forse ha in quello specifico ambito il suo terreno d'elezione.

Non è un regista facile da amare e nemmeno da capire; come dimostra anche questo film, sta portando però all'industria qualcosa di personale, non proprio "nuovo" (in questo film, ad esempio, di nuovo c'è pochino, a cominciare dagli aspetti scenici, fino al genere un po' letterario di costume rivisitato in chiave scandalistica e allo stile registico che richiama l'austerità di un Kubrick o di un Von Trier) ma comunque originale, solo che a volte il virtuosismo e la fermezza del tono di un film dovrebbero lasciare spazio a qualcos'altro. Qualcosa che ci possa far vedere anche l'altro lato umano, quello che non appartiene alla sfera di De Sade.
Perché, al di là dell'ossessione per la verità storica e artistica, non c'è niente di vero in una tensione emotiva che punta costantemente a punire i propri personaggi e a premiare i peggiori istinti animali come fossero la sola cosa interessante da raccontare.


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