sabato 24 aprile 2021

The Trial of the Chicago 7

 155 - The Trial of the Chicago 7 (Aprile 2021)






La storia del processo ai “Chicago Seven” secondo Sorkin. Ovvero il gruppo di attivisti accusati di aver fomentato la rivolta dei manifestanti alla Convention di Chicago del 1968, causando gli scontri con le forze dell’ordine, che rivive in scena in un lungo atto da legal/political thriller come sempre scritto con un meccanismo ad orologeria dal sempiterno ed infaticabile sceneggiatore (nonché ormai anche regista, pare) newyorkese.

Se da una parte c’è l’apprezzabile tentativo di ammodernare l’impianto narrativo facilitando la sua scorrevolezza attraverso un montaggio frammentato che fa occasionale uso di materiale di repertorio e dialoghi fulminanti (come sempre il piatto forte della casa), dall’altra la sensazione è la difficoltà ad entrare completamente nella storia quando si ha a che fare con personaggi così ostentati e schiavi del proprio background: l’intento di Sorkin è quello di appaiare il giudizio stereotipato emerso dalle cronache che la società e la politica del tempo avevano degli imputati con quello dei personaggi investiti di un qualsiasi potere e quindi di far risaltare gli aspetti satirici della verità storica come riflesso della drammatizzazione in atto, ma il Sorkin sceneggiatore avrebbe bisogno di un regista più a suo agio nel contemperare i punti di vista, calibrare i toni e far emergere un quadro meno isterico e, a tratti, grottesco (ad esempio il finale).

Ma la sceneggiatura funziona e Sorkin sa esattamente cosa chiedere e come chiederlo al suo pubblico, ovvero di avere fiducia in quello che accade; conosce alla perfezione il timing con cui introdurre i personaggi e sa fare lume sulle loro motivazioni. Ci sa dire da dove vengono e quindi dove andranno. Al resto pensano le prove maiuscole degli attori (Baron Cohen, Frank Langella, Mark Rylance, Gordon-Levitt su tutti) sempre perfettamente sopra le righe, come da copione, incalzanti nei toni e meravigliosamente in debito l’un con l’altro senza mai rubarsi la scena a vicenda: il principale merito di Sorkin come regista sta forse qui, nella capacità di far dialogare con eleganza i talenti del cast che ha a disposizione in una coralità che dà ampio respiro alle vicende trattate, fornendo lo spunto ulteriore con cui indagare più in generale le dinamiche di più ampia scala. Perché, affascinato come sempre dalla mole spaventosa di materiale raccolto, Sorkin si serve della legge, della giustizia, delle istituzioni e in generale delle forme corporative di potere del suo paese per saggiare in qualche modo con mano la temperatura della democrazia e, mediante quella, la misura di libertà che appartiene al singolo individuo.

Un film le cui eco (discriminazione, omertà, corruzione, abuso di potere, servilismo) sono ancora molto forti all’interno dei nostri sistemi di diritto e che quindi servono un parallelo interessante con la nostra attualità. 

Curiosamente riprende le vicende affrontate anche in un altro film candidato quest’anno dall’Academy, ovvero Judas and the Black Messiah; buona idea, forse, guardarli in abbinata.

 



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