domenica 25 aprile 2021

The Father

 158 - The Father (Aprile 2021)






Anthony è un uomo anziano e senile, vive solo nel suo appartamento in cui riceve visite solo dalla figlia Anne, che si preoccupa per lui e cerca di trovargli qualcuno che si occupi di lui, specialmente perché sta per lasciare l’Inghilterra e partire per Parigi... o forse no? E si tratta davvero dell’appartamento di Anthony quello in cui lui vive?

In un magistrale gioco di specchi, ci perdiamo già dopo pochissimi minuti nel labirinto creato dalla mente di Florian Zeller, che dirige il suo primo film adattando la sua stessa opera teatrale (Le Père, 2012), coinvolti sempre di più nella sottile paranoia dell’arzigogolata sceneggiatura che procede con il pilota automatico, mentre lo straordinario Hopkins prende, come di consueto, il sopravvento su qualsiasi cosa.

Mediante la tecnica narrativa del narratore inaffidabile e un destabilizzante montaggio frammentato, il film precipita nella spirale di una malattia degenerativa che ha intaccato i processi logico-mnemonici di una mente malata, mantenendo una soggettiva che ci permette di individuarne i collegamenti; l’uso del montaggio, e quindi ciò che lo caratterizza veramente rispetto all’opera teatrale o alla storia a se stante, è veramente sbalorditivo nel suo risultato finale: il surrealismo suggerito dall’inconscio affiora prepotentemente nei frammenti della storia che lentamente siamo portati a ricollegare al pari del suo protagonista, permettendoci un’empatia e una simbiosi altrimenti irrealizzabile.

Mentre Anthony cerca disperatamente di aggrapparsi agli scogli della sua storia, è quasi come se il film si spegnesse davanti ai nostri occhi, come se i nostri occhi saettassero fra le immagini, i personaggi e i loro nomi, ansiosi di dare loro quel senso compiuto che lo stesso Anthony non riesce a individuare, a spiegare.

È un film psicologico che scava nelle profondità e nei misteri della mente, proiettando su noi stessi quelle stesse angosce identitarie e che mettono in evidenza la fragilità di quello che siamo, il nostro posto nell'ordine delle cose, il senso stesso della nostra vita.

Non è certo il primo film capace di inventare escamotage per raccontare deficit cognitivi o malattie mentali (Memento, A Beautiful Mind, ecc), e rappresenta solo l’ultimo esempio di diversi grandi tentativi recenti di raccontare l’età senile (Nebraska, Amour, 45 Years), tuttavia c’è qualcosa di profondamente toccante e autentico nel suo risultato: abbiamo già visto tutto questo senza riuscire a spiegarlo. Il film è straordinario nel replicare quella sensazione di inesplicabilità, di incomunicabilità, del solipsismo di una mente chiusa e discontinua che tenta disperatamente di non perdersi, che è alla ricerca di continue conferme; ed è allo stesso tempo un grande studio sulla natura umana che ci riporta alla consapevolezza di quanto fragile sia quell’equilibrio che ci permette di essere considerati “sani” da un punto di vista sociale.

Dal punto di vista emotivo, è devastante subire la sensazione di abbandono, di peso, di inutilità che Anthony sperimenta, mentre i volti cambiano di nome, i luoghi si trasformano attorno a lui, il tempo si contrae indecifrabile. È anche un punto di riflessione, che ci riporta inevitabilmente all’umiltà della nostra condizione umana, su quanto sappiamo e su quanto pensiamo di sapere, sulla presunzione di essere chi sappiamo di essere e in generale su quanto del nostro modo di concepire il mondo dipenda da quello che vediamo.

Un film che è più di un esercizio di stile, che è un tentativo riuscito di avvicinarsi di più alla nostra umanità.

 



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