martedì 25 febbraio 2014

Nebraska


70 - Nebraska (febbraio 2014)




Da quando ha scoperto di essere il vincitore di un fasullo premio milionario da ritirare a Lincoln, Nebraska, Woody Grant percorre tutti i giorni a piedi la distanza da casa sua, nel Montana che solo la bontà d'animo e di presenza del figlio David gli impedisce di compiere completamente. Finché quest'ultimo non capisce che il padre non ha nessuna intenzione di lasciar perdere e decide di mettersi in viaggio per accompagnarlo di persona.

Il vecchio (un monumentale Bruce Dern), alcolista, credulone, tendenzialmente intrattabile, in ostinata ricerca di qualcosa che la sua vita non sembra avergli spiegato con la massima chiarezza, e bonariamente incapace di badare a se stesso si scontra con il proprio ruolo, evidentemente ormai ingestibile, in un mondo - e più in particolare nel microcosmo della sua famiglia allargata - che lo considera niente più che una persona di cui prendersi gioco, su cui si può fare poco affidamento, se non addirittura da sfruttare.

Il pretesto della presunta vincita funziona dunque perfettamente nel far tornare conti che Payne aveva mirabilmente previsto sin dall'inizio, in questa sua ennesima chicca che si va ad inanellare in quella serie di dramatic comedy che sembrano portare il suo marchio di fabbrica dopo Sideways.

Ed in effetti il regista è talmente bravo a caricare ogni singola situazione e personaggio di intelligente ironia che acquistano tutt'altra luce quei ricordi sommessi, a singhiozzo, che si fanno strada nella strada (on-the-road come da copione) creando familiarità con un personaggio forse difficile da inquadrare ma sicuramente impossibile da detestare, tanta è la tenerezza che ispira e la comicità che trasuda da ogni espressione, ogni sguardo lanciato, ogni risposta secca.

Al cliché dell'anziano brontolone e bisbetico, Payne implementa dunque la sua visione della vita estendendo il proprio raggio d'azione qui anche ad un confronto fra generazioni (i due figli proprio come lui sembrano entrambi ben lungi dalla felicità nonostante il divario mentale e culturale che li separa) in cui proietta un raggio di speranza, come a voler immedesimarsi in quel David Grant e a sottoscrivere con coraggio la sua testimonianza a non fregarsene, come a volerci dire che le buone intenzioni sono rare, ma quando sono sincere compensano e superano tutto il resto perché capaci di segnare un momento e forse una vita.

Giocando su piani diversi, il tempo scorre più velocemente di quanto sia possibile controllarlo ed il solo modo di appropriarsene sembra essere lasciare qualche segno di sé lungo il percorso.
L'irrequietezza di Woody lo porta continuamente alla ricerca di qualcosa, che sia qualcosa di fisico come la dentiera persa fra le rotaie o che sia simbolico come la strada da percorrere verso un premio da ritirare ma se il punto per altri rimane la compagnia durante l'attesa, per lui nessuna discussione può realmente valere la fredda concretezza di qualcosa di utile ed è curioso come a tratti questo cinismo si amalgami bene alla leggerezza dell'insieme; una sensazione indefinita che aleggia sopra le teste di tutti i personaggi, riconvertendo la malizia in stupidità e l'impellenza dell'azione in ilarità.

Non c'è una singola voce che non contenga in sé un tratto comico, ma la cosa bella è scoprire che c'è un finale lì ad aspettarti che supera le migliori attese.

Piccola curiosità: il film oltre ad aver preso in considerazione Bryan Cranston per il ruolo principale, condivide con Breaking Bad l'attore Bob Odenkirk che proprio nella serie lo citava.


Scena scelta










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