venerdì 28 febbraio 2014

Philomena


74 - Philomena (febbraio 2014)




Il dramma di Philomena Lee, rinchiusa in un convento Irlandese in giovane età a seguito del concepimento del figlio, portatole via con la forza, che da allora tenta affannosamente di ritrovare. Parallelamente, un giornalista appena colpito dal fuoco incrociato della politica perde il suo lavoro e trova, in Philomena, precisamente la storia che stava cercando per scriverne un libro.

Ci viene presentato un terribile sopruso che abbraccia un arco temporale di 50 anni, da una poco più che bambina ad una ormai anziana e tormentata donna che ha vissuto sulla sua pelle un'espiazione imposta per un peccato che in realtà ha compreso, accettato, sebbene sofferto, perché è parte della sua natura semplice, arrendevole, incontaminata.

Frears, da ottimo e navigato regista qual è, è pienamente consapevole del cast che ha a disposizione: la chimica fra un'amabile Judi Dench ed un caustico Steve Coogan è talmente forte da riempirne di colore i personaggi e, quindi, la storia intera.
Fra i due scatta una sorta di botta e risposta continuo che trae ispirazione dalle marcatissime differenze, sul piano sociale e filosofico pianeti lontani, ed alimenta quella sottile ironia molto british che scava nel terreno compatto di ricordi difficili da rimuovere; altri in attesa di ricevere una casa in cui abitare, un significato.

C'è una storia che è effettivamente trasportante (e a tratti veramente inquietante) ma c'è soprattutto lo scontro verbale, filosofico, ideologico fra due stati d'animo, due modi di convivere con se stessi, due sensi d'appartenenza diversi; e questo contraltare magnifico completa un film lucente, toccante, senza sembrare mai ipocrita, in cui la Philomena di Judi Dench riesce a far parlare più gli occhi della voce, non prende lezioni che non restituisca puntualmente svuotate di cattiveria (parola che aborrisce), conferisce ad un'immagine chiusa, isolata e segnata dal dolore in una mente avulsa da un certo tipo di mondo che non ha mai conosciuto tutta una serie di gradazioni che rendono il personaggio memorabile, ed ogni esitazione, ogni ostinazione sanata da una sensibilità che ha imparato a modellare sul tempo strappatole via dalle mani.

Oltre a questo, c'è anche la contrapposizione inevitabile fra chi vive e chi ha vissuto, come se una specie di flashback molto veloce rapisse e smarrisse gli anni; come se si avvertisse candidamente l'esigenza materiale di dare un valore al tempo, e non necessariamente tramite le risposte sulla carta rilegata di un libro.

La regia di Frears è minuziosa, graffiante e paternale insieme. Affida a Coogan (che è anche co-sceneggiatore assieme a Pope di una storia vera ed ispirata a The Lost Child of Philomena Lee di Martin Sixsmith) il ruolo provocatorio (e divertente) ma ordinato di chi tenta di accendere una luce fra le ombre proiettate con somma eleganza dalla Dench.

Potrebbe facilmente perdersi nella polemica, invece si raccoglie e trova in un ultimo barlume di finezza la sua ultima parola. Che è anche quella che resta nell'aria, mentre scorrono i titoli di coda.


Scena scelta










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