mercoledì 10 febbraio 2016

45 years


97 - 45 years (febbraio 2016)




È l'anniversario dei 45 anni di matrimonio di Kate e Geoff Mercer, e mentre la macchina da presa ritrae un matrimonio che si è conservato in tanti anni intatto nella sua esteriorità, qualcosa sembra invece scalfirlo, improvvisamente, dall'interno: è una lettera, un segno tanto materiale quanto inesorabile che qualcosa sta cambiando, o forse ha continuato a cambiare, pur se cristallizzato in un'epoca (quella della relazione) tanto lunga da parere infinita, assoluta, non in discussione.

È quindi lo spettro di un passato solo superficialmente sepolto a rimestare nelle menti e negli equilibri della coppia, un bell'esempio concreto di tutta l'amara inevitabile contraddizione che esiste fra gioventù e vecchiaia, fra vita e morte, fra avventura e quiescenza che condiscono una narrativa fatta di estremi "umani" in questo racconto sulle angosce insinuate dall'incedere del tempo nel momento in cui la nostra percezione ci permette di apprezzarne realmente il valore, il resoconto finale.

Non riguarda solo l'invecchiare, e quindi l'attitudine diversa in ognuno di noi di fronte al suo avvicinamento ad essere messa in mostra o alla prova e che diventa esperimento filosofico sotto i nostri occhi, ma è un accumularsi di simboli, piccoli gesti e tradizioni che sommati nella loro singola e minuscola incisività segnano la nostra vita (insieme e non) caricando quel tempo trascorso di un significato.
Attraverso un discorso molto basato sulle sospensioni (a cui si presta perfettamente l'interpretazione magistrale della Rampling, che con quei suoi toni soffusi e quella gestualità fisica tutta accennata e sottintesa scava nei silenzi una coltre di dubbi, tormenti e rimpianti che valgono il film), sugli attimi caduchi e decaduti, sull'assordamento delle domande a cui non possiamo proprio avere risposta, la visuale di Haigh è elegante e drammaticamente inerte, come in rapporto simbiotico con la sua protagonista, tanto da apparire quasi marginale o minimale nel suo scarso coinvolgimento all'interno di una storia che esita a carburare, ma è proprio questa mancata percezione a rafforzare in realtà il sentimento di isolamento, di frustrazione che permea questo intenso spettacolo di silenzi.

La camera viene abbandonata a lunghi minuti di inquadrature fisse, il montaggio è statico e di connotazione fortemente descrittivo-riflessiva, il paesaggio tutto intorno è immobile mentre inframezza l'avanzante cronologia del film ed è solleticato solo dai lamenti del vento che è un vento nuovo ma è sempre lo stesso di sempre: uno stato di calma apparente delizioso, distaccato, che introduce ad un (dis)gelo quantomai calzante alla sua premessa narrativa per portarci alle estreme derive psicologiche di quella sensazione che forse meglio di tutte descrive la senilità qui raffigurata: quel non poter tornare indietro per fare qualcosa che oggi avremmo fatto in un altro modo e senza nemmeno potersi cullare nella autocompiaciuta, ironica tristezza del non crederci veramente.


Scena scelta










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