venerdì 26 febbraio 2016

Bridge of spies


102 - Bridge of spies (febbraio 2016)




È ancora il film a sfondo storico ad essere al centro delle attenzioni di Spielberg che, tre anni dopo Lincoln, torna a parlare dell'America del passato e a riesplorare il genere di guerra lì dove non aveva mai curiosato direttamente in precedenza: anni '60 e crisi degli U-2, al culmine della guerra fredda e del gelo fra Stati Uniti e Unione Sovietica, un uomo diverrà negoziatore di uno scambio di spie fra i due paesi sul fatidico ponte di Glienicke (denominato ponte delle spie).

James B. Donovan (quasi il suo nuovo Schindler, con le dovute proporzioni) diventa così la chiave narrativa che permette a Spielberg di continuare un discorso ormai decennale sull'approfondimento bellico d'epoca partendo però sempre dal particolarismo prospettico del singolo individuo, che si carica sia della sovraordinata importanza degli eventi che gli scorrono davanti sia della capacità di segnarne in parte l'esito - e divenendo, quindi, egli stesso parte attiva di quello scenario.

Spielberg divide in due parti il film, come due sono le fazioni coinvolte in questa lotta psicologica e due sono anche le facciate che costruisce intorno al suo protagonista per raccontarci in realtà della doppia anima del paese cui apparteneva e prestava servizio: un momento prima nemico di stato e "comunista", quello dopo eroe nazionale.
Questo tratto caratteriale segna una continuità nell'opera di Spielberg che da una parte è lo Spielberg appassionato modellista che ribadisce la volontà di riprodurre nei minimi dettagli e trasmettere a chi non l'ha vissuto quel clima politico incerto e claustrofobico (palesato negli stilemi non casuali del genere spionistico), dall'altra dimostra di considerarlo solo un piano di fondo, per trascenderlo e trasformarlo in un piedistallo, su cui collocare invece l'uomo (o gli uomini), l'esperienza, sempre con questo velo di drammatica e simpatetica ironia con cui sembra ricordarci come anche le cose più complesse da raccontare e ricordare in realtà non siano altro che una conseguenza di un errore umano e dell'imprevedibilità di una Storia che si ripete mettendoci di fronte alla comune improbabilità delle cose.

C'è molto di questo nella figura di Donovan, punteggiato come personaggio superomistico e positivo, faro di democrazia e diritti civili, di umanità, di discernimento in un contesto che stenta a ricordarselo; in tempi complicati, quando la comunicazione diventa difficile e non ci si fida più gli uni degli altri può essere soltanto un avvocato a sbloccare la situazione, sembra quasi suggerire uno Spielberg ghignante. E la beffa più grande è che è davvero l'ultimo rimasto a crederci. Una lezione ribadita nel tono consuetamente cattedratico del regista che rammenta all'America che niente è più importante delle conquiste civili e delle regole di cui ci siamo dotati, nemmeno la guerra; e che niente vale più di una vita umana, nemmeno quelle stesse regole.

La regia di Spielberg è, da un punto di vista formale, praticamente perfetta in ogni suo frammento descrittivo: dona al film un grande respiro e dissemina la solita quantità di allegorie visive (la splendida illuminazione, la macchina che "corre" e si nasconde fra i vicoli, i campi che quasi scompaiono avvolti dalla pioggia o dalla neve) in grado di connotare le praticamente infinite aspirazioni morali(stiche) della storia, ma soprattutto registra con la tecnica che gli compete ancora qualcuna di quelle scene magistrali che, anche estrapolate dal film, mostrano un livello di realismo e di rispetto per quest'Arte tali da essere sufficienti di per sé a chiudere ogni questione.

Spielberg nel 2015 (2016) è essenzialmente ancora quel ragazzo entusiasta delle proprie convinzioni e delle fantasie di un tempo, con tutti i pregi e difetti dell'assunto; però dimostra come sia ancora fra quelle poche divinità in grado di tenere completamente in pugno il proprio film, anche grazie agli ormai storici collaboratori: non c'è reparto (interpretazioni, fotografia, scenografie, costumi, colonna sonora - questa volta senza John Williams) che non sia meritevole di ammirazione, un po' come i personaggi che ama raccontare.
E forse è questa la motivazione di tutto, il non voler tollerare niente, ma proprio niente, al di sotto della linea della perfezione.

Scena scelta










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