mercoledì 24 febbraio 2016

Mad Max: Fury Road


100 - Mad Max: Fury Road (febbraio 2016)




36 anni dopo il primo Mad Max della prolifica saga cult di George Miller, arriva questo splendido gioiellino, di nuovo immerso in atmosfere post-apocalittiche e pronto al consumo.
Non c'è più Mel Gibson nel ruolo del protagonista (sostituito da Tom Hardy) e a differenza degli altri capitoli non è un sequel/remake/reboot ma una sorta di auto-omaggio della serie; resta che, a differenza di quanto ci si possa aspettare prima di averlo visto, siamo in presenza di un film tutt'altro che inutile.


Quello che da subito appare evidente è che non si tratta né di un'abulica rivisitazione né di un semplice action-movie con una trama stiracchiata e troppo dinamismo fine a se stesso: quella di Miller è un'adrenalinica esperienza visiva e sonora a tutti i livelli, insuperbita dalla fotografia spaziale di J. Seale (Cold Mountain, Rain Man), e corroborata scena per scena e inquadratura per inquadratura da un immane lavoro d'immaginazione e da un design (elaborato solo in minor parte in computer graphic) inquadrato in ogni minimo dettaglio, dall'effetto ridondante delle scenografie alla funzionalità narrativa del dettaglio di scena: ogni singola componente del quadro visivo è lì per suggerire qualcosa (un'emozione, una backstory, un'appartenenza sociale) ed il racconto è anch'esso tanto particolareggiato e fantasioso da riuscire ad intrattenere in maniera brillante.

Ci sono ovviamente una serie di elementi di rottura che fanno parte dell'esperienza propriamente "cinematica" di Miller: le stravaganze caratteriali, il fascino del linguaggio che si mescola a quello già esotico del contesto, l'idea inaccessibile del vivere oltre ogni logica di buon senso che spinge quel concetto iniziale - in un futuro più o meno remoto l'umanità è in stato di degrado e non esistono leggi se non quella del più forte - ben oltre i binari della fantascienza distopica per creare qualcosa di unico e inimitabile (il tutto sempre con la convincente autorevolezza misurata dal realismo delle scene d'azione o dall'ingegnosità della cornice coreografica degli stuntmen).

Sono punti fermi di una sceneggiatura che trova ancora qualcosa da dire sull'argomento, pur senza inventarsi niente, ma senza nemmeno suonare farraginosa o forzata e anzi, saldamente cucita ad un'idea di continuità (suggerita, ad esempio, dalla stessa strada, la Fury Road che occupa il costante campo della pellicola) che si può apprezzare nello sviluppo attento dei personaggi lungo il film, non destinati a rimanere solo macchiette divise fra bene e male così come nel disegno catastrofistico non tutto è solo morte e disperazione, ma ci sono ancora tracce di umanità.

Un film che è una vera macchina di intrattenimento dunque, feroce e selvaggia come ad onorare la memoria storica del franchise ma allo stesso tempo capace di maggiore maturità in quel suo vivere delle luci riflesse dello spettacolo che ci mostra e anche capace di consacrarsi in un momento di solitudine attraverso la regia, anche qui sottolineabile per versatilità e accenti, di Miller (che ha creduto tanto nel progetto da seguirlo in una gestazione lunga un decennio).

Se proprio bisogna trovargli un difetto, questo ha più a che vedere con la scarsa compatibilità personale rispetto ad un topos o alla sua peculiare derivazione autoriale da parte del regista australiano che richiede (o esige) un totale e continuo stordimento a scapito di una maggior predisposizione al dialogo, piuttosto che con una cattiva fattura del film; ma il suo ritmo è perfetto, Miller sa quando eccedere in mezzore di puro delirio e sa quando invece fermarsi a raccogliere insieme tutti i pezzi rimasti di un film che, e si può dire tranquillamente, dopo essersi ritagliato uno spazio nel cuore dei suoi fan di lunga data adesso lo ha definitivamente trovato anche nella cifra dell'iconografia cinematografica contemporanea.


Scena scelta










Nessun commento:

Posta un commento