lunedì 3 febbraio 2020

Ford v Ferrari

145 - Ford v Ferrari (febbraio 2020)





Ford contro Ferrari.
Per un titolo che annuncia già tutto in partenza, anticipando quello che sarà un film dai classici connotati da biopic (il momento di crisi, le difficoltà che sembrano impossibili da superare, il senso della sfida, il duro lavoro, il momento clou, le conclusioni), sviluppato in una sceneggiatura tanto laboriosa e incalzante quanto drammaticamente priva di soluzioni innovative, di uno storytelling capace di mettere insieme realtà e finzione ad un livello artistico credibile, l’opera di Mangold non è affatto un film da disprezzare.

È vero: risente immancabilmente dei difetti prodotti da una visione, come quella Hollywoodiana, ormai legata indissolubilmente a quell’America che del resto questo film racconta (e con cui quindi viaggia in sincronia attraverso il percorso storico di quegli ultimi anni ‘60), con la sua mania di protagonismo, la sua lucidità industriale e commerciale, la sua attenzione ai piccoli dettagli che fanno di una grande macchina una macchina vincente e parimenti di un film un prodotto; e se questa è una storia del piccolo contro il grande, dell’artigiano contro la multinazionale, dello spietato meccanismo dell’industria contro l’onestà del lavoro, della cieca ricerca del profitto contro l’impetuosa passione che lega il raggiungimento dei propri obiettivi al sacrificio... beh, allora questo film, pur nella sua parziale disonestà formale, è però abbastanza onesto da collocarsi in una posizione veramente neutrale, respingendo in ugual misura l’arroganza di chi vuole vincere senza rispetto per i propri avversari e il disfattismo di chi si sente già sconfitto, riuscendo a sentirsi americano nel modo forse più autentico e nobile, personale.

E allora la strada, nelle sue infinite metafore in cui ci viene servita in questo film, è impervia e piena di tratti ciechi e sconnessi, ma come tutte le grandi metafore ha il potere di aggregare, di creare un’illusione collettiva: Ken Miles, il pilota cocciuto e solipsistico a caccia del giro perfetto ed Henry Ford (II), circondato da una schiera di cagnolini che lo scavalcano e decidono al posto suo perché fondamentalmente incapace di prendere le redini della sua stessa azienda, non potrebbero essere più distanti, non potrebbero assegnare un valore più diverso alla strada che hanno davanti. Ciò che in questa distanza incolmabile li accomuna per un attimo è la competizione, è la qualità tipicamente umana e narcisistica di essere all’altezza della situazione, di non deludere le attese.
È così, sembra dirci il film, che nascono le più spontanee prove memorabili della Storia: con delle promesse improbabili a cui si finisce per credere sempre più, finché il miracolo non si allontana dalla sua stessa definizione, finché l’uomo e l’idea si avvicinano fino a toccarsi.

Ford v Ferrari è sicuramente un film molto ben rifinito e confezionato, con il solito gran montaggio che i film di Mangold possiedono, avvincente nel suo modo di raccontare e coinvolgente nelle sequenze d’azione riprese in soggettiva, che chiariscono il vero punto di vista di una regia pulita, diligente, piuttosto canonica anche nei suoi manierismi, nelle sue sottolineature oltre il limite del didascalico, nei suoi motivi centrali.

La coppia Damon-Bale è una garanzia di successo (in tutti i sensi) e, per quanto il trasformismo di Bale non colpisca ormai più di tanto l’occhio più attento alle grandi performance degli ultimi anni, è comunque sorprendente che non goda di una ancora maggiore reputazione: questo film gli offre la possibilità di dimostrare quanto sia immenso nel dare coerenza a qualcosa che in apparenza sembra non averne e spesso, anche senza dover parlare.

Contrariamente a quanto si possa pensare, non è un film “per appassionati”; sembra invece piuttosto chiaro come Mangold abbia cercato di avvicinare i fanatici ad un pubblico più generalista, capace di immedesimarsi nei suoi temi universali, o di rivivere e leggere in un dato periodo storico la cifra di cosa significhi rimanere se stessi davanti ad eventi più grandi delle nostre forze, là dove tutto cambia ma mai niente cambia davvero. E nemmeno le cose che più sono importanti per noi.


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