giovedì 6 febbraio 2020

Little Women

148 - Little Women (febbraio 2020)



















A un paio d’anni dall’esordio alla regia, Greta Gerwig torna con un nuovo adattamento del classico generazionale di L.M. Alcott, “Piccole Donne”; una storia che porta incisi ovviamente molti significati, capace di offrire molti spunti in ogni epoca, e che non è scelta casualmente dalla sua giovane regista, tanto evidentemente affezionata al materiale originale da aver elaborato una ottima sceneggiatura quanto attenta e sensibile ad un discorso autoriale inserito in un periodo di grande respiro come quello contemporaneo, in cui i secolari valori del libro, figli di un periodo più rigoroso del nostro possono esaltare quella dimensione femminile e femminista che è fortunatamente sempre meno difficile portare all’attenzione dell’opinione pubblica e quindi del grande cinema.

Film, come la storia, infatti molto femminile, dalla tensione emotiva e dall’occhio delicato e attento ai dettagli della regia alle scelte di un felice cast, ben diretto e pressoché perfetto sia a livello di matching sia di interpretazioni: a spiccare sono chiaramente Saoirse Ronan (che continua il suo sodalizio vincente con la Gerwig) e Florence Pugh, rivelazione di un’annata per lei florida di successo e plausi della critica che l’ha vista svettare anche in Midsommar.

Come nel precedente Lady Bird, l’uso del montaggio si rivela decisamente l’arma in più nel tentativo della Gerwig di dare un taglio moderno alla storia, evitando il più possibile quel ristagno che il contegno classico ha sempre dato alle vicende delle sorelle March, e puntando invece sulla velocità dei dialoghi, su ritmi tagliati con l’accetta e su un montaggio alternato che spiega il presente con il passato, e viceversa.

L’intuizione è delle migliori e permette alla Gerwig di dare grande coerenza, grande organicità all’insieme, come se il suo film effettivamente vivesse di una grande spontaneità, un’energia, uno slancio emotivo che non scade mai nel bieco sentimentalismo quando veicola una morale che può sembrare semplicistica e ormai superata come quella dei romanzi. La Gerwig è troppo intelligente per cadere in questo errore e punta invece, attualizzandoli, quei temi talmente immortali da intersecarsi fatalmente con i destini dei suoi personaggi, che diventano espressione di un colore e di una forza di carattere che fuoriesce dalla pagina, ma a tratti sembra completamente allontanarsene, velando di una elegante ironia laddove una mano pesante sarebbe caduta nella più banale delle trappole.

In fin dei conti, questa è una questione personale per la Gerwig... non solo perché è il suo film (suo in tutti i sensi, scritto, diretto e voluto) e non solo perché la sua protagonista è di nuovo la magnifica Saoirse Ronan che è l’anima del film ma in un certo senso è anche di più, come se fosse la sua estensione (del resto “Little Women”, libro di famiglia, è sia il titolo del film che del libro che Jo si vedrà pubblicare) ma soprattutto perché questo è un film intimo, “piccolo” come “little” sono le sue protagoniste, che non dimenticano mai le loro radici né rinnegano i propri valori, anche lì dove la convenienza renderebbe loro la strada più facile.

Allo stesso modo per la Gerwig si tratta di integrità artistica, di onestà di racconto, di rimanere fedele allo spirito del romanzo senza farci dimenticare che le cose non cambiano mai troppo, e che anche quando lo fanno abbastanza da permettere a una donna nel 2019 di scrivere il finale che vuole scrivere, di raccontare la storia nel modo che ritiene migliore, rimane pur sempre un mondo in cui chi è più debole deve lottare per la propria indipendenza, per l’entusiasmo nei confronti di ciò che ama.

Un piccolo, grande film che è inconsapevole delle proprie qualità, cosa che lo rende ancora più degno di stima.


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