mercoledì 20 febbraio 2013

Il mitologico Lincoln secondo Spielberg: un'opera complessa e straordinariamente potente


62 - Lincoln (febbraio 2013)




Anno 1865, mentre la sanguinosa guerra civile Americana sta volgendo al termine, assistiamo agli ultimi mesi della vita e dell'opera politica di Abraham Lincoln, determinante per la ratificazione del noto Tredicesimo Emendamento della Costituzione che abolì definitivamente la schiavitù in ogni sua forma all'interno della nazione.
Spielberg ci proietta in una full immersion di notevole impatto in quello che è il dettaglio storico di quegli ultimi mesi, dalle innumerevoli difficoltà incontrate nel superare la resistenza nei confronti del varo di quel provvedimento epocale fino al suo assassinio, a guerra ormai conclusa.

La complessità del quadro di allora, dato dal malcontento per le numerose vittime del prolungato conflitto interno, dal surriscaldamento degli animi in un Congresso che rappresentava un Paese quanto mai diviso e dalla molteplicità degli interessi in gioco nella questione, è restituita attraverso una sceneggiatura estremamente articolata e "cavillosa".
Si intuisce come l'opulenza degli avvenimenti finisca per sopraffare almeno un po' anche un grandissimo autore come Steven Spielberg che viene letteralmente rapito dalla storia che si affastella davanti ai suoi occhi al punto di non rendersi perfettamente conto del fatto che il suo film, pur tecnicamente eccelso come spesso gli capita, avrebbe forse bisogno di due cose: una maggior chiarezza nell'esposizione e più respiro.

E' evidente come questo sia un film che per sua peculiarità non può fare a meno di un certo tipo di formazione, di uno sguardo attivo e consapevole. Peraltro lo sforzo nel donare dignità ad un contesto controverso di cui comunque non si nasconde nulla, denota un indirizzamento abbastanza preciso verso quel sentimento patriottico a stelle e strisce che è ragione tra le ragioni delle simpatie dell'Academy per questo film; il tutto senza sminuire il lavoro di Spielberg che è dei suoi, nonostante l'argomento sensibile, uno di quelli più storicamente attenti, precisi, e scevri di quella retorica che ha contrassegnato parte della sua cinematografia.

Il Lincoln di Spielberg è umano, sanguina proprio come noi e allo stesso tempo gode di un'elevazione elegiaca che è la stessa dimensione storica ad avergli giustamente conferito.
La regia se la cava egregiamente in questo livellamento. L'amore devoto che il popolo riconosce in questo suo leader, la grande fiducia riposta nella sua saggezza non oscurano le avversità per l'audacia dei suoi pensieri; le sottolineature sul suo esemplare senso dell'etica non rimuovono (ma anzi le ampliano) quelle sfaccettature della sua personalità che ci mostrano un uomo disposto a (quasi) tutto nel perseguimento di una "matematica" fede nella giustizia.

Se da una prospettiva ne viene esaltato l'ardire, che trova il colmo nella posposizione della fine dei trattati con i confederati rispetto alla priorità del problema razziale, dall'altra viene sempre ricordato come il modo d'agire appartenga pur sempre a quello di uomo (politico per di più), che può agire per sotterfugi e cavalcare le stesse debolezze di un sistema difettivo: la "compravendita" del voto dei c.d. Lame ducks, la raccomandazione insincera (anche se tecnicamente veritiera) fatta al Congresso dell'inesistenza di inviati Confederati a Washington; lo sfruttamento da parte di Lincoln della sua esperienza di avvocato. Un uomo "del mondo".

Se poi c'è l'affetto del popolo o il successo del suo lavoro, per contro c'è da pagare il prezzo del sacrificio che sopporta non solo dal punto di vista personale, ma anche familiare (gli scontri con la moglie, le difficoltà con i figli).

Ma l'iconografia del Lincoln di Spielberg è ottimamente raffigurata anche nella sua ordinarietà. Pur senza volersi riferire al personaggio sotto forma di biopic (di fatto il film ne affronta solo un periodo significativo e peraltro lo allarga agganciandolo alla storiografia americana) ne esce un ritratto commoventemente autentico, il cui spessore drammatico è incarnato dalle fatiche di un Daniel Day Lewis ancora una volta sublime (e favoritissimo per l'Oscar): il suo Lincoln possiede la serafica ponderatezza, lo spirito dello humour, la passione per gli aneddoti dell'originale.
Incommensurabile avvaloramento, la sua prestazione, che si unisce ad una parificazione estetica impressionante (sembra quasi riportato in vita).

Ancora una volta tecnicamente ineccepibile (su tutti la fotografia di Kaminski e le musiche di John Williams, storici collaboratori di Spielberg), come le sue 12 nominations in parte spiegano, è ad oggi il grandissimo favorito all'Oscar 2013. Anche perché sicuramente fra tutti è il più completo. Come detto non solo è ottimamente realizzato, ma può vantare una sceneggiatura notevole (adattata dal romanzo Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln di Doris Kearns Goodwin), un mix di attori spettacolare, fra cui andrebbero ricordati quantomeno l'integerrimo Tommy Lee Jones e David Strathairn, fra gli altri; e la regia di Spielberg che è sempre una garanzia.

Il film più compiuto fra quelli in lizza: tecnicamente ben fatto ma anche appassionante. Decisamente cervellotico, ma non freddo, o privo di emozioni.
Tuttavia, resta per così dire, l'idea di un film "privato", non soltanto nel rapporto personale che indissolubilmente lega il suo protagonista allo spettatore su cui si gioca gran parte della scommessa dell'autore, ma soprattutto nell'unidirezionalità tematica e contenutistica di quella che è per gran parte cronaca e mito Americano.

Se la razionalità impone di pensare alle conseguenze delle proprie azioni (l'uguaglianza porta al diritto di voto e quindi all'integrazione sociale), esiste però un momento preciso in cui l'urgenza morale deve superare qualunque remora e Spielberg fa nient'altro che questo: va dritto al cuore della questione, dove è impaziente di giungere, senza, per una volta, preoccuparsi però di portarci per mano anche lo spettatore.




Scena scelta










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