venerdì 22 febbraio 2013

Les Misérables, per la prima volta musical per il cinema. Hooper dirige con formidabile intensità una rivoluzione interiore ed esteriore


64 - Les Misérables (febbraio 2013)




Dal palcoscenico di un teatro al grande schemo cinematografico. Uno dei più famosi musical di Broadway e del West End Londinese nelle mani di Tom Hooper, già regista acclamato per Il discorso del Re.
Un capolavoro del suo genere, in tempi come questi, non esattamente clementi.

I personaggi del famosissimo romanzo di Victor Hugo prendono vita in forma nuova, e con rinnovato stupore in un'opera straordinariamente intensa e struggente.
La formidabile coralità, risorsa primaria di un testo quantomai ricco e variegato, è esaltata da una regia brillante e dalle singole interpretazioni.
Perché non si può parlare di questo film senza iniziare dall'evidenziare le singole performances.

A partire ovviamente da Valjean (Hugh Jackman), la parabola di un prigioniero redento, cieco d'odio per un mondo che lo ha sempre odiato e reso libero dall'amore per Cosette, la figlia di Fantine (Anne Hathaway), una donna portata alla disperazione e alla perdita di ogni dignità; e che nonostante i suoi tentativi di vivere una vita onesta sarà sempre insidiato da Javert (Russell Crowe), implacabile guardia carceraria priva di sfumature per il quale il male non può che reiterarsi secondo gli stessi schemi, e poco importa se il crimine di Valjean è solo quello "di aver rubato un pezzo di pane" per sfamare la figlia della sorella.

Sono questi, i miserabili. Fra di essi, le vicissitudini della Rivoluzione Francese, le barricate, l'orgoglio patrio e il dolce rigoglio della speranza, sia travestita da fiera resistenza nel soccombere ai colpi di cannone della Monarchia o sia una multiforme luce interiore ad indicare il cammino.

Hooper dirige con il piglio del veterano un cast brillante, ridefinisce dinamiche ed intrecci basati sulla sceneggiatura adattata da William Nicholson e reinterpreta il melodramma musicale aggiungendo accenti e tocchi stilistici personali (ad esempio nelle inquadrature e nel dosaggio dei tempi, non esattamente gli stessi del teatro).
Consapevole di ciò che ha a disposizione, mantiene mano ferma e concede libertà d'espressione ai suoi talentuosi attori. Esempio ne sia la decisione di "catturare" le performances musicali di ogni scena dal vivo (e non registrando in studio per poi recitare in playback): sinonimo di rispetto, per la musica e per l'impegno artistico del cast, entrambi le cosa migliore del film.

Elemento portante è un Hugh Jackman vergognosamente bravo, per un personaggio straordinariamente complesso e che è l'unico a conservarsi nell'intero asse temporale dell'opera. Assieme ad Anne Hathaway (memorabile il "sogno" della sua Fantine) raggiungono un livello quasi metafisico; ma senza dimenticare l'ossessiva austerità del Javert di Russell Crowe, la sfrontata malizia dei coniugi Thénardier di Sacha Baron Cohen ed Helena Bonham Carter, il trasognamento del Marius di Eddie Redmayne e della Cosette adulta di Amanda Seyfried; il canto del cigno dell'Éponine di Samantha Barks.

Di certo sono molto di aiuto le musiche di Claude-Michel Schönberg, con alcune delle liriche più toccanti si possano ricordare nel genere, alcune di esse modificate ad hoc per la trasposizione.
Un film in cui inevitabilmente l'estetica della prova attoriale si fonde con l'intimità emotiva di ciò che viene cantato/recitato.
In particolare vale la pena di ricordare il soliloquio di Valjean, la magnifica "Suddenly", il succitato sogno di Fantine, i canti degli studenti in rivolta dietro alle barricate, l'epico epilogo.

Una rivoluzione che trasuda da ogni palpito di ogni scena, un'opera drammatica potente e prorompente.
Ma anche uno spettacolo, sotto agli occhi dello spettatore ma, prima ancora, ridotto alla soggezione del silenzioso firmamento, composto di quelle stelle che guardano dall'alto Javert come lui stesso guarda dall'alto i prigionieri del suo carcere; come i nobili francesi fanno con il "piccolo popolo" che muore di fame lungo le strade Parigine.

E nell'attesa di un giudizio divino, perché "tutti sono uguali, quando sono morti" (la grande verità del piccolo Gavroche), c'è chi è "schiavo della legge" e dei giudicamenti ultraterreni che altro non sono che l'insopportabile compassione di se stessi, e c'è chi cerca in quell'ispirazione la ragione per diventare una persona migliore.

Il tutto nella voluttuosa e perpetua fiamma chiamata ad agitare l'animo umano: sarai abbastanza forte da vedere oltre la barricata il futuro che vuoi, quando arriverà?




Scena scelta











Nessun commento:

Posta un commento