domenica 17 febbraio 2013

In equilibrio fra dramma e commedia, Silver linings playbook


61 - Silver linings playbook - Il lato positivo (febbraio 2013)




Dopo otto lunghi mesi passati in un istituto psichiatrico Pat, ex supplente di storia, torna a casa. La sua vita ha preso una brutta svolta in seguito ad un'aggressione ai danni dell'amante della moglie per la quale ha rimediato un'ordinanza restrittiva e la diagnosi di un disturbo bipolare.
Con tutta la strada da rifare e la riconquista della moglie come pensiero fisso, incontra però Tiffany, giovane vedova. L'intesa è praticamente istantanea, tanto è il dolore e la tendenza all'eccesso che condividono.
Tiffany smuove, unica, in Pat un effettivo interesse quando gli promette di avvicinare la moglie per consegnargli una sua lettera in cambio del suo aiuto per un concorso di ballo.

Sono proprio l'insistenza, la brutale schiettezza e l'esperienza in prima persona della ragazza a determinare in Pat una nuova nascita, un riavvicinamento alla vita.
Mentre chi gli sta intorno lo invita a calmarsi, ad ingozzarsi di medicine, a sedersi per vedere una partita di football, cioè all'immobilismo, Tiffany lo affronta apertamente e nel risultato dirompente della follia con cui si trovano ad avere a che fare germogliano i semi di un'affinità elettiva che inevitabilmente volge ad un certo epilogo.

Trasposto dal romanzo di Matthew Quick "L'orlo argenteo delle nuvole" in una sceneggiatura scritta dallo stesso regista David O. Russell (The Fighter), questo film si propone in sostanza come film drammatico con parentesi sentimentali piuttosto evidenti.
Se il tema trainante della psicosi è affrontato con grande delicatezza ed efficacia in tutte le sue sfaccettature, è anche vero che la drammaticità dell'opera viene più volte messa alla prova, sfidata.
D'altra parte lo stesso titolo vuole individuare in un'espressione idiomatica ("silver lining") un aspetto confortante, la speranza; ed è su questo versante che Russell opera silenziosamente, mentre mette sul tavolo alla più completa rinfusa tutta una serie di elementi destabilizzanti come i suoi protagonisti.

C'è il "collega" psicotico Danny, l'amica Tiffany, lo psichiatra completamente senza senso, il padre stesso che soffre di manie ossessivo-compulsive ed ha precedenti di episodi violenti. L'occhio irrequieto di Russell si fa strada persino nelle nevrosi della vita famigliare dell'amico Ronnie, all'apparenza perfetta; come a volerci dimostrare che la follia altro non è che un filo sottile comune a tutti i personaggi della "sua" Philadeplhia e, fuor di metafora, della vita stessa.

E come la vita reale, niente è solo tragico o solo divertente, ma talvolta capita che qualcosa abbia entrambe le connotazioni in sé.
Ed è questo, per certi versi l'autentico lato positivo.

Qualunque sia l'intoppo, la vita prosegue, e nella sua affidabile imprevedibilità (aka follia) può metterti di fronte al paradosso più grande, ovvero quello che ti apre gli occhi e rimuove l'ostacolo contro cui era inevitabile continuare a scontrarsi.
E nella vastità di tutto questo è così l'amore, il sentimento irrazionale per eccellenza, ad incarnare questo paradosso e ad un tempo lo spiraglio oltre il quale guardare con rinnovata fiducia.
La follia esiste sotto innumerevoli forme, assicuriamoci di riconoscere quelle positive, è in sintesi il concetto. E nel frattempo, le "domeniche" continueranno a susseguirsi e ad essere dove sono sempre state, come i (bei) ricordi.

Una sceneggiatura adattata più che ben scritta (nominata all'Oscar) pervasa da un'irrefrenabile ironia. I suoi personaggi sono fortemente accentati di eccentricità, rilevano ed incuriosiscono.
Con il film che inizia, si ha quasi la sensazione di conoscerli già, e con un background così delineato, il passo successivo di Russell è quello di ragionare su piani sovrapposti (si passa dall'aggressione quasi omicida, alla malattia mentale, fino all'idillio sentimentale passando per lo spaccato di vita familiare trattato in pieno stile dramatic comedy) e di ingenerare nello spettatore un senso di urgenza sintetizzato alla perfezione nei dialoghi e nella recitazione, entrambi forsennati.

Con una Jennifer Lawrence, elemento di spicco fra le ultime leve, che dai tempi del già ottimo esordio di Winter's Bone sembra migliorare di film in film; un Bradley Cooper che dopo una serie di commedie più o meno considerabili (si narra sia stato scelto direttamente dal regista, quando la parte originariamente avrebbe dovuto essere di Mark Wahlberg) è una delle sorprese molto gradite di questo film; come non bastasse, Robert De Niro e Jacki Weaver. Come a voler esagerare.
Ben quattro le nominations per la sola recitazione, oltre a quelli più importanti. Un ottimo viatico in ottica Oscar, soprattutto con la seria possibilità di una conferma per J. Lawrence, anche da parte dell'Academy, per il ruolo che già le è valso il Golden Globe.

Per un film che merita attenzione, perché rappresenta quell'ideale mix fra scrittura e recitazione di cui sempre più spesso si pensa di poter fare a meno. E questo film non solo ne esce avvalorato, ma ha bisogno di preservare questi sottili equilibri, e la regia di Russell non tradisce.
E anche se alla fine ci si perde un po' per strada, resta comunque l'idea allettante dei propri riferimenti. Che non scompariranno mai.




Scena scelta











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