mercoledì 22 febbraio 2017

Arrival

121 - Arrival (febbraio 2017)



Misteriosi oggetti giganti invadono la Terra distribuendosi in punti apparentemente casuali; la dottoressa Banks viene interpellata per interpretare il linguaggio degli extraterrestri e stabilire una comunicazione.

Si possono dire tante cose di Villeneuve, ma è un vero esteta, un genio visionario, un creatore di immagini e un pittore di mondi; la Fantascienza è da sempre un contenitore ideale in cui racchiudere l'immaginazione, ma la sua storia cinematografica blockbuster negli ultimissimi lustri ha dato sempre più in pasto agli spettatori atmosfere banali condite da effetti dozzinali, per non parlare di una trivializzazione di storie sempre meno scientifiche e sempre più sentimental-melodrammatiche, quando non basate meramente sull'azione o su ritorni d'immagine.

Questo film, basato sul romanzo di Ted Chiang, è stato considerato a lungo un progetto irrealizzabile, troppo complesso da figurare; probabilmente solo un regista (eccessivamente) attento alla forma come Villeneuve poteva avvicinarvisi abbastanza da trasporlo fedelmente senza finire invischiato nel suo significato.

Per adattarsi alla non linearità del tempo del racconto, Villeneuve finisce per sconvolgere le stesse regole del tempo filmico e le stesse strutture che lo governano, creando con il montaggio qualcosa che funziona come un orologio rotto (o quasi liquefatto come in Dalì); un'astrazione (la nostra concezione del Tempo) spiegata o diversamente implementata in una nuova astrazione.
Ma il film in realtà non ha queste ambizioni, non vuole spiegare, non vuole razionalizzare. È prima di tutto un film costruito sulle sensazioni, ed è in questi termini che è semplicemente straordinario nel suo senso più letterale.

Villeneuve gioca a confondere lo spettatore, a gettarlo in una dimensione onirica da cui non può uscire se non accettandone con sfida lo stato ignoto e, similmente al linguaggio alieno da decriptare, per descrivere il quale deve trovare parole nuove rispetto a quelle umane, parole che forse non esistono: il suo film esorta a sentire, a interiorizzare, quasi a "captarsi" l'un l'altro, e quindi ad allontanare quello che pensavamo di sapere per introdurlo nella nostra mente in modo nuovo; non è un film da capire, da intellettualizzare, è uno straordinario film di integrazione fra razze con una morale di fondo pacifista. Gli si perdonerà forse il richiamo a un certo archetipo scientifico-drammatico (impossibile non notare nell'impianto narrativo influenze di classici quali "The Day the Earth stood still" - Ultimatum alla Terra), se in proporzione restituirà in cambio almeno altrettanta inventiva.

Spettacolare e immaginifica, brillante nel risultato estetico (una Fotografia meravigliosa), Villeneuve passa gran parte del film a sperimentare, mesmerizzare, frammentare lo spazio e il tempo, ma trova soprattutto appagante l'idea claustrofobica e ovattata della scoperta: non vuole che sia un trattato sui viaggi nel tempo, vuole che sia un'avventura, una determinazione istintiva e successivamente morale di un risultato visivo potente, mozzafiato ed emozionante; non vediamo mai il pericolo in faccia... ma l'abisso in cui questo film trascina con sé le sue luci asettiche ed effettate è qualcosa che vale la pena di ricordare, anche tralasciando le imperfezioni di una sceneggiatura che mira a un risultato semplicistico - e tuttavia, anche così, sorprendente nelle sue conclusioni.

A permetterlo è questa sua capacità di giocare su piani e universi sovrapposti, unita al suo unico stile visivo, al tremendo impatto emotivo del suo immaginario, che insieme travalicano la più nuda essenza della storia, delle sue comuni caratteristiche più Thriller.

La cosa più gradevole del film è questa tendenza a tenere a freno di parecchio - considerata la moda recente - i tecnicismi scientifici o l'espressione della forza militare commista al solito morboso sfoggio di Azione (qui solo accennata, solo minacciata) per entrare più nel vivo di un contatto metafisico, e di un linguaggio che è esigente, pretenzioso, enigmatico; con esso se ne va il retaggio della vecchia razza umana e, finalmente, nel 2017, anche la noia terribile che aveva colpito il genere prima di questo film.
Un 9 che più pieno non si può.


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