mercoledì 8 febbraio 2017

Wiener-Dog

114 - Wiener-Dog (febbraio 2017)



Grande dissacratore della società Americana, pioniere del genere indipendente, autore coerente, Solondz torna con Wiener-Dog, un film "ad episodi" che più comico di quanto suggerisca su due piedi la scelta stessa del suo titolo non può sperare di diventare (nonostante di certo ci provi): il Cane-Wurstel, letteralmente, è il cane dall'aspetto ridicolo ed incerto che assurge ad animale di compagnia di quattro personaggi vulnerabili tutti alle prese con un senso di solitudine e di smarrimento, avvinghiati dalle spire della mediocrità intellettuale che li circonda; diventa quindi l'unico riconoscibile leitmotif di un altrimenti apparentemente vago schema con cui il regista prosegue il suo discorso.

Discorso, alimentato dalla consueta dialettica sensibile e feroce, iniziato più di vent'anni fa contro il politically correct, contro le infide ipocrisie piccolo-borghesi, l'implicita corruzione della loro scala di valori.
In Wiener-Dog lo sguardo è ancora più spaesato e per questo ancora più incattivito quando ne mette a fuoco la gravità; ovviamente Solondz non sceglie la strada del muso-contro-muso (sarebbe il primo ad uscirne distrutto), ma invece dilaga in una pastosa comicità parossistica che non tiene conto di nessuna regola preconcetta, né estetica (il "buon gusto" su cui ama calpestare o come in questo caso... defecare) né morale.

Il teatrino dell'umanità è qui per Solondz nella sua più forte evidenza di disfacimento: favolette "morali" con cui si nega caparbiamente la compassione, il consumismo, l'abbandono cinico alle pulsioni egoistiche, l'individualismo sfrenato, la perdita più totale di riferimenti; ad essi, e all'analisi generale, il regista lega una sorte sempre avversa e sempre peggiore del suo "tema trainante", un po' come il gatto legava le storie dell'orrore nei vecchi gialli all'italiana, il suo cane lega gli orrori sottili di un popolo che non ha più riguardi per nulla: lui li sfida a dare del loro peggio.
Nell'episodio di DeVito in particolare Solondz si prende anche il tempo e il distacco satirico per autoriflettere sulla vacuità del suo ambiente, di cui spezza le regole linguistiche (attraverso il montaggio) e, come Cronenberg di recente, ne smaschera un generazionale distacco dal "buon senso": ma è proprio questo che lui vuole stanare, portando l'estremizzazione sotto i riflettori di un'umanità svanita nella più disarmante e nichilistica perdita di valori e, ancor peggio, di quello che un tempo forse era un naturale senso di assistenza, di compassione, di interesse per le cose e di un impegno che non dava per scontato il fine di cui era strumento.

Oltre che con l'evidenza stravagante del racconto, Solondz ne parla anche con i toni brillanti (e quindi falsi, o sfalsati) e tematici della fotografia e la violazione cosciente di una serie di implicite norme del nominato "buon gusto" estetico del film, come il trash o l'uso del contrappunto sonoro e del ralenti con finalità provocatorie: proprio perché non si riconosce nell'idea patinata che l'immaginario di cui sta criticando la forma ha contribuito a divulgare, il regista lo mette nel mirino tout court, lo ri-immagina, e lo supera.

Alla fine, il povero "Wiener-Dog" che ha fatto una pessima fine in ciascun segmento, ciascuno dei quali sottintende la sua intrasmissibilità, è diventato semplice carne da esibizione, reperto da museo. Il "migliore amico dell'uomo" si è transustanziato in una forma inutile (e sorda all'interesse umano): il segno pedestre di una civiltà che ha abbandonato ogni nobile istinto e ne ha fatto la propria consapevole vetrina, troppo ottusa per esserne perfino orgogliosa. L'arte moderna.

Il ritratto è, come spesso in Solondz, di quelli quasi senza speranza, e per questo un po' troppo spesso non utile ad un'indagine ad un livello superiore, che non si limitasse a prendere nota (con distacco superiore) di una realtà apocrifa, ma quando Solondz decide di staccare il pilota automatico e si ferma a riflettere sul significato più profondo e umano di quello che sta osservando, la sua etica produce i risultati migliori, rendendo i suoi film sempre interessanti, sempre passibili di un'empatia ormai rara da trovare.

Astenersi animalisti.


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